venerdì 17 dicembre 2010

«AltriMondiali 2010»: Premio per la Pace al canturino Riedo

 
Con altri cinque ragazzi ha portato nei villaggi del Sudafrica il calcio come strumento di sviluppo e solidarietà tra i giovani

CANTU' Non solo gli Azzurri multimilionari del pallone, in Sudafrica per piangere una meritata sconfitta. O la spensierata gioia di Shakira, alle prese con il balletto del Waka Waka. Quest'estate, durante i mondiali di calcio 2010, «tre ragazzi italiani e tre kenioti hanno interpretato e raccontato il calcio come strumento di pace e solidarietà. Con un pulmino hanno percorso 8mila chilometri in nove Paesi africani, per realizzare gli AltriMondiali 2010, veicolo di dialogo e di amicizia tra persone, gruppi e comunità diverse». Questa la motivazione con cui il governatore Roberto Formigoni ha consegnato il Premio per la Pace di Regione Lombardia anche ai ragazzi del Matatu. Da moderni Fitzcarraldo, hanno portato il calcio nelle baraccopoli e nei villaggi africani. Tra loro, c'era anche Francesco Riedo, 28 anni, di Cantù.
La premiazione è avvenuta nel tardo pomeriggio di martedì, durante una cerimonia all'Auditorium Gaber, in piazza Duca d'Aosta, a Milano. Francesco, tra maggio e giugno, ha girato l'Africa a bordo di un matatu: un minibus. Con porte da calcio pieghevoli, divise e tirarighe nel baule. Insieme a lui, i coetanei Luca Marchina e Emiliano Corbetta. E tre keniani: Dominic Otieno, educatore di slum, Hillary Masinde, allenatore, Maxwell Odhiambo, cameramen. «Il progetto è nato grazie a Karibu Africa, una onlus che ho contribuito a fondare - dice Francesco, cresciuto a Cantù, vive da qualche anno tra Padova e Nairobi, in Kenia - da tempo lavoriamo con il calcio nelle baraccopoli. L'occasione dei mondiali in Africa era perfetta. Anche per promuovere una serie di argomenti, come la lotta all'Aids. Il calcio, in Africa, è uno sport popolarissimo. Molti sognano l'illusione di un futuro da calciatore. Ma siamo passati in villaggi dove dei Mondiali non si sapeva nulla».
Il «controcampionato» è iniziato il 29 maggio a Mathare, baraccopoli di Nairobi. Con un torneo di calcio di strada. E si è concluso a Philippi, Cape Town. Con un torneo di calcio a cinque. Il minibus, un Toyota Hiace, si è diretto da nord a sud. Dar es Salaam, Tanzania. Lusaka, Zambia. Harare, Zimbabwe. Maputo, Mozambico. Mbabane, Swaziland. In Sudafrica, anche Durban e Johannesburg. Partite sulle colline dei pastori Masai. Nei villaggi isolati. Nelle periferie delle grandi città. Vicino alle spiagge. Tornei di calcio a volte improvvisati lungo la strada. E in alcuni villaggi del Mozambico. Dove il Matatu ha portato per la prima volta un pallone.
«Tra andata e ritorno, è stato un viaggio di 14mila chilometri - racconta Riedo - con alcuni problemi: i posti di blocco della polizia, in Africa, sono spesso difficoltosi. Durante il viaggio siamo riusciti a sostenere occasioni di integrazione sociale. Nei confronti di chi, ad esempio, soffre di handicap fisici e mentali. Oppure è albino. Vittime di emarginazione per superstizione, mancanza di istruzione, credenze locali. Attività semplici come giocare a calcio, per questi gruppi, sono un segno di avvicinamento, di riscatto. L'apartheid? E' ancora nella testa delle persone. Bianchi e neri lavorano insieme per obblighi di legge. Ma non si frequentano».
In alcuni casi, le partite di calcio si sono svolte in collaborazione con organizzazioni come CoLomba. Molte, sono sorte spontanee. «Sull'esempio - spiega Riedo - di quanto accade a Nairobi. Dove gruppi di ragazzi informali, senza una società alle spalle, si allenano e si autogestiscono i campionati cittadini». Il viaggio è stato il volano di un progetto - sponsorizzato da CoopGuna Spa - più ampio. «Altrimondiali, tra i ragazzi dell'Africa, continua - ricorda Francesco - e fra altri quattro anni, ci sarà Brasile 2014». Un altro mondiale dove il fischio finale dell'arbitro non conta.


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