sabato 31 gennaio 2009

"Una buffonata"

Fonte: Inter.it
MILANO - La notizia apparsa sul quotidiano 'Il Giornale', su un rapporto della Polizia Giudiziaria nell'ambito di un presunto legame fra scorso campionato e scommesse, è stata smentita subito dalla Procura di Milano, e definita 'una buffonata' dal Presidente Massimo Moratti all'uscita dai suoi uffici milanesi, che ha sottolineato come essendoci già la smentita della Procura, la sua non fosse neppure necessaria.
Ufficio Stampa

venerdì 30 gennaio 2009

MERCOLEDI' DA LEONI, L'INTER SE NE VA

Fonte: De Rerum Calciorum

Serie A - 21^ Giornata
CATANIA - INTER 0 - 2
5' STANKOVIC - 71' IBRAHIMOVIC

Nell'ultimo turno infrasettimanale del campionato l'Inter, attesa da una difficile trasferta, saluta e se ne va. Contro i catanesi l'Inter gioca con lo spirito giusto e dopo 5 minuti e già in vantaggio. La partita è indirizzata sui binari giusti ma ci pensa l'arbitro Rocchi a mescolare le carte espellendo (ingiustamente...) poco dopo la mezzora Muntari per un entrata su Tedesco. Nel finale del primo tempo i nerazzurri soffrono ma nella ripresa entrano con lo spirito giusto, prendono le misure agli attacchi etnei e alla fine Ibrahimovic li castiga. L'Inter porta a casa tre punti importantissimi. Punti che diventano ancora più pesanti grazie alla sconfitta della Juventus ad Udine (i friulani non vincevano da ottobre...ihihih) e il pareggio in casa del Milan contro il Genoa.
+6 sui bianconeri, +8 sui cugini rossoneri. L'Inter piazza uno scatto importante. E' fuga o ci riprenderanno?
FORZA INTER !!!

mercoledì 21 gennaio 2009

Liberi Nantes F.C.

Il Liberi Nantes Football Club è una squadra di calcio interamente composta da giocatori vittime di migrazione forzata. È la prima squadra in Italia, a carattere permanente, che ha scelto di rappresentare il popolo dei rifugiati, dei richiedenti asilo - spesse volte vittime di torture e di violenze - e più in generale di tutti coloro che sono costretti a scappare dal proprio paese per sopravvivere: i migranti forzati.

Ad oggi la rosa della squadra, che ha come colori sociali quelli delle Nazioni Unite, si compone di circa 25 elementi e vede tra le proprie fila atleti afgani, eritrei, guineani, irakeni, nigeriani, sudanesi, togolesi, centroafricani, etc.

Si tratta comunque di una realtà “aperta”, che cerca di coniugare le necessità proprie di una squadra di calcio, con quelle dei suoi atleti, uomini impossibilitati a pianificare i propri tempi, le proprie disponibilità e più in generale il proprio futuro. I ragazzi che compongono il Liberi Nantes Football Club, nella quasi totalità, sono arrivati da poco in Italia, non hanno un lavoro, vivono in centri di accoglienza e si appoggiano a tutte le strutture di assistenza che offre la città di Roma.

Fino ad ora attrezzature e materiali sono stati interamente forniti dalla Liberi Nantes ASD. Tutto il necessario per allenamenti e partite viene consegnato agli atleti al loro arrivo al campo, ritirato a fine allenamento o a fine gara, lavato, pulito e rimesso a disposizione per l’attività successiva. Questo perché gli atleti, vivendo in centri di accoglienza, non dispongono di lavatrici o spazi adeguati per collocare i materiali e le attrezzature da gioco. La maggior parte di loro non può nemmeno sostenere i costi dei trasporti, ragion per cui ad ogni allenamento o gara, vengono forniti di due biglietti dell’autobus, che gli consentono di andare e tornare dai centri di accoglienza.

Si tratta, insomma, di un’esistenza basata sull’emergenza e sulla precarietà e la possibilità di appartenere ad una squadra di calcio, specie con queste caratteristiche, costituisce un importante elemento di integrazione, di svago e, soprattutto, di appartenenza e di identità.

Un valido Staff Tecnico assiste la squadra nelle fasi di allenamento e durante le partite.

martedì 20 gennaio 2009

MESSAGGIO IMPORTANTE

Da un nostro amico atalantino...ci tocca...

Strepitosa, un'Atalanta da sogno fa a pezzi le ambizioni dell'Inter, riuscendo là dove finora nessuno era riuscito e cioè ad affondare la corazzata della serie A e a riaprire il campionato. E' una cronaca trionfale quella di questa ultima giornata del girone di andata. Floccari ha dimostrato di valere i fuoriclasse dei campioni d'Italia, Doni ne ha messi due, la difesa ha concesso un golletto a partita ormai conclusa. E' quasi da non credere, ma gli olé finali erano dei nerazzurri atalantini. Dell'Inter si è visto poco, soltanto i razzi che alcuni incivili pseuditifosi interisti hanno scagliato contro i tifosi brgamaschi.

giovedì 15 gennaio 2009

Coppa Italia: il video di Inter - Genoa 3 - 1

Fonte: Blog Io amo il calcio

Alla fine pronostico rispettato: ai quarti di finale di Coppa Italia ci va l'Inter, ma quanta fatica per avere ragione di un Genoa tanto rattoppato quanto grintoso, con uno Scarpi in serata di grazia a negare mille volte il gol ai nerazzurri. Solo Cambiasso ed Ibra, entrambi mandati in campo nella ripresa da Mourinho, sono riusciti a piegare nell'overtime gli uomini di Gasperini, ridotti in 10 dopo 20', quando Biava veniva espulso per fallo da ultimo uomo su Adriano fuori area. Gava, sbagliando, assegnava anche il rigore che il brasiliano si faceva parare da Scarpi. Adriano poi si riscattava nella ripresa, segnando l'1-0, raggiunto poi da Rossi con un eurogol in una delle pochissime sortite offensive del Genoa. Nei supplementari i gol decisivi dell'argentino e dello svedese. Per l'Inter ora c'è la Roma, nell'andata dei quarti il 21 gennaio.

ADRIANO RITROVATO - Nonostante il tiro dal dischetto fallito il centravanti brasiliano ha giocato bene, risultando sempre pericoloso nell'assedio che i nerazzurri hanno messo alla porta avversaria. Con un uomo in meno, infatti, il raggio d'azione dei rossoblù si era arretrato a difesa della porta, per cui la partita era saldamente in mano degli uomini di Mourinho. Il Genoa era il pugile che incassava, colpo dopo colpo, ma non cadeva mai pur barcollando sotto i colpi degli avversari. E, quando Adriano finalmente riusciva a bucare la difesa avversaria (lasciando il campo tra gli applausi di San Siro ad Ibra), trovava anche l'insperato pareggio con un meraviglioso gol di Rossi che, dal vertice basso dell'area, chiudeva un diagonale al volo sotto l'incrocio di Toldo.

DECIDONO CAMBIASSO ED IBRA - Nei supplementari poi il Genoa si arrendeva all'opportunismo dell'argentino e allo strapotere dello svedese, che nel primo tempo trovavano l'uno due tagliagambe. Da elogiare tutta la prova dei rossoblù, meno quella di alcuni nerazzurri: primo tra tutti Muntari, che veniva graziato da Gava nel primo tempo quando, già ammonito, interveniva in maniera violenta su un avversario. Se fosse stato espulso, probabilmente sarebbe stata un'altra partita.
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Il video di Inter - Genoa 3 - 1 (dts)


mercoledì 7 gennaio 2009

Un Massimo da sogno

Fonte: il Manifesto

di Luigi Cavallaro

Renzo Casali racconta l'interista Moratti, il più «progressista» dei presidenti di calcio
Di Massimo Moratti, presidente dell'Inter dal 1995, si sa che è figlio di Angelo Moratti, leggendario presidente della «Grande Inter» degli anni '60. Che è alla guida dell'importante società petrolifera di famiglia, la Saras. Che veste di una sobria e raffinata eleganza, fatta di cachemire, Church's e morbidi cappotti cammello. Che fuma ingenti quantitativi di Marlboro. Che ha speso nei tredici anni della sua presidenza cifre ragguardevoli per metter su una squadra che tornasse a vincere, raccogliendo però assai meno di quel che sperava - anzi, fino a tre anni fa, praticamente nulla, con grande scorno per noi interisti.
Si sa anche che coltiva idee alquanto eterodosse, almeno per un petroliere. Il sarcasmo degli addetti ai lavori si coglie a piene mani quando si parla del suo rapporto con Emergency, oppure della sua simpatia per la causa degli indigeni del Chiapas, che lo portò ad un memorabile scambio epistolare con il Subcomandante Marcos. Per non parlare della candidatura a sindaco di Milano che gli offrì Rifondazione e che egli rifiutò solo quando gli fecero capire che molti della parte avversa avrebbero votato per lui. O ancora, del gemellaggio tra l'Inter e il noto ed eccentrico gruppo teatrale milanese della Comuna Baires, di cui ora racconta Renzo Casali in un breve e delicato libretto appena edito da Limina (Il Massimo. Moratti, il sogno possibile, pp. 115, € 17).
«È un petroliere, che faccia il petroliere!»: è questo l'adagio stizzito di quanti mal sopportano le sue sortite più sfacciatamente progressiste o i tifosi delle altre squadre che gli vedono comprare ogni stagione vagonate di calciatori, senza alcun attenzione a problemi di bilancio o di equilibrio. Ma Moratti non molla. Con discrezione, con misura, con garbo, con cocciutaggine, coltiva un progetto.
Se è vero che dietro ogni grande ricchezza c'è sempre un grande delitto, come dicevano suo padre Angelo e Bertolt Brecht (e come lui ripete convinto), è importante che chi appartiene alla parte privilegiata dell'umanità non si dimentichi della parte sfruttata e anzi si adoperi perché una parte di quel che viene «rubato» (ma in realtà «appropriato senza scambio», giusta la correzione di Marx a Proudhon: ossia il sovrappiù, da cui origina il profitto) venga restituito alle «vittime», cioè alla società stessa.
Si spiega così «Intercampus», un progetto internazionale che da dieci anni a questa parte ha regalato la gioia di giocare a calcio (e con la maglia nerazzurra) a oltre 10.000 bambini disagiati di 17 nazioni diverse, dall'Angola all'Uganda, dalla Bolivia a Israele, dall'Argentina al Camerun, dalla Bosnia alla Cina: un'esperienza unica, da cui Gabriele Salvatores ha tratto un documentario che il 3 dicembre scorso è stato presentato al Parlamento Europeo. E sempre così si spiega l'idea di devolvere le multe inflitte ai giocatori dell'Inter all'organizzazione umanitaria fondata da Gino Strada. Sono solo due esempi, e stridono alquanto al cospetto di altri e ben noti modi di coniugare calcio e potere.
Filantropia da bauscia, si dirà a questo punto dagli scettici. Non ne siamo convinti. Perché sembra aver questo di specifico Moratti: il convincimento che, davvero, non puoi dare nulla se non capisci chi è l'Altro. «Capire gli altri, mettersi nei loro panni, vivere i sentimenti, le necessità e, umilmente, dimenticare i propri privilegi e il temporaneo potere - scrive in una lettera a Renzo Casali - è un segreto che ci permette di risolvere velocemente i problemi che nascono fra noi, e questo vale sì nel calcio come nel lavoro e, insomma, nella vita».
Piuttosto, senza nulla togliere alla filantropia, ci piace pensare a un'altra cosa. Precisamente, alla rilettura di Horkheimer e Adorno del mito di Odisseo e le Sirene.
Ricorderete tutti il famoso luogo dell'Odissea: la promessa di felicità che promana dal canto delle Sirene maschera il pericolo di morte per quanti vi si abbandonano. Odisseo lo sa bene e intravvede due sole possibilità di scampo. La prima è quella che prescrive ai compagni, ai quali tappa le orecchie con la cera e ordina di remare a tutta forza: chi deve durare e sussistere non può prestare ascolto al richiamo dell'irrevocabile e può farlo solo in quanto l'ascolto gli è vietato. La seconda è quella che Odisseo prescrive a se stesso: egli ode quel canto, ma impotente, avvinto all'albero della nave a cui si è fatto legare dai compagni.
È una struggente metafora del capitalismo, spiegano Horkheimer e Adorno: anche i borghesi si negheranno la felicità quanto più, crescendo la loro potenza, l'avranno a portata di mano. Esattamente come i moderni lavoratori salariati, i compagni di Odisseo, che sanno solo del pericolo del canto e non della sua bellezza, lo lasceranno legato all'albero, riproducendo così, con la propria vita, anche la vita dell'oppressore, che non può più uscire dal suo ruolo sociale.
Ecco, Moratti è uno di quei rari borghesi che ha sentito il canto delle sirene della felicità. Ma diversamente da Odisseo, ce lo restituisce attraverso quella straordinaria affettività emozionale che ci viene dal comune entusiasmo per il calcio. Meglio ancora, sotto forma di bimbi sorridenti e felici di poter tirar calci a un pallone. «Nessuno mi toglie dalla testa che quest'uomo non può concepire il gioco del calcio senza gli affetti, senza la bellezza, la lealtà sportiva e un minimo di giustizia sociale», scrive Casali. E se ha ragione questi a suggerire che il calcio – proprio come il teatro – non è uno specchio che riflette la realtà, ma uno strumento che può aiutarci a vedere cos'è nascosto dietro lo specchio, sta a noi saper cogliere l'aspirazione ad un autentico legame collettivo che si cela dietro l'ingenuo cameratismo dei tifosi che, dopo una vittoria della squadra del cuore, gridano: «/Abbiamo/ vinto!». E agire – politicamente – di conseguenza.

P.S. Presidente, a proposito, quando la giochiamo 'sta partita in Chiapas?