venerdì 29 giugno 2012

Inter Campus incontra i bambini di Nagalama ed Angal



Fonte: Inter Campus




Prosegue l'avventura Inter Campus in Uganda. 


A Nagalama, presso la st Joseph primary School, che raccoglie ormai quasi mille bambini e bambine, tutti coinvolti nelle attività sportive gestite dagli educatori formati attraverso le visite ed i clinic Inter Campus. 


In questa realtà il nostro partner CUAMM - Medici con l'Africa ha già totalmente affidato agli ugandesi la gestione dell'ospedale affiancato alla scuola, ma il nostro lavoro a favore della comunità continua. 


Infine ad Angal, oltre il Nilo ed al confine con il Congo, in una zona in passato colpita dalla guerriglia e tuttora molto disagiata, continua l’attività sportiva con i bambini legati alla associazione Amici di Angal, ai padri comboniani e sempre con il prezioso supporto logistico di CUAMM. 


I nostri tecnici Alberto e Juri hanno avuto la gioia di rincontrare bambini ed istruttori di una realtà ancora molto marginalizzata, portando materiale sportivo e soprattutto il loro lavoro formativo, prezioso per le persone del posto.


giovedì 28 giugno 2012

11 luglio 2012 ASSEMBLEA INTER CLUB KAYUNGA

Cara Socia/o,

quest’anno la nostra cara Inter non ha certo brillato. I problemi che hanno afflitto squadra e società sono stati purtroppo parecchi. Le uniche soddisfazioni i due derby.

Ma il nostro più grande dispiacere riguarda la situazione del calcio italiano in generale: scandali, scommesse, cifre esagerate, nonostante la crisi che tocca molti cittadini e le loro famiglie....

Come Club possiamo però essere orgogliosi per quanto di positivo abbiamo saputo ancora creare in ambito sociale e solidaristico.
Abbiamo contribuito all’iscrizione alla scuola di Ausiliario Socio Assistenziale di un nostro socio, cittadino ugandese, che era giunto a Como percorrendo l’Africa a piedi !
Abbiamo contribuito a sostenere le scuole coinvolte nell’Inter Campus Uganda, che, come in precedenza programmato, si è quest’anno esteso dalla scuola elementare di Naggalama anche al villaggio di Angal, e si estenderà probabilmente anche alla scuola elementare di Aber. E questo per la gioia dei bambini ugandesi e dei loro insegnanti.
Il nostro blog in internet è sempre alquanto frequentato, così come facebook. La newsletter dovreste riceverla regolarmente. Se così non fosse vi prego di segnalarlo.
Purtroppo non siamo riusciti ad organizzare un evento pubblico, come ci eravamo ripromessi. Ciò è stato dovuto soprattutto alla difficile disponibilità di persone di richiamo. Decideremo insieme durante l’assemblea il programma del prossimo anno.

Vi ringrazio tutti ed in particolare coloro che silenziosamente si attivano in prima persona, dedicando tempo e risorse al Club e agli amici ugandesi.

Per preparare le attività del prossimo anno vi invito calorosamente a partecipare alla prossima Assemblea che è convocata in data 11 luglio 2012 c/o Via Galvani 5 – Como (Albate-Trecallo) in prima convocazione alle ore 14.00 ed in seconda convocazione alle ore 18.30 e che avrà il seguente ordine del giorno:

1.Relazione del Presidente
2.Approvazione Consuntivo anno 2011-12
3.Rinnovo delle cariche associative
4.Attività 2012-13
5.Approvazione Preventivo anno 2012-13
6.Varie ed eventuali
Un caro saluto
Il Presidente
Italo Nessi

mercoledì 27 giugno 2012

La patria del pallone


Fonte: Mosaico dei giorni di Tonio Dell'Olio

Un cucchiaio di Pirlo o un tiro di potenza di Balotelli, un colpo di destrezza di Cassano o un gol di Di Natale bastano per far saltare di gioia decine di milioni di italiani che recuperano il sentimento dell’unità nazionale e l’identità italica. 
Basta davvero poco! 
E qualcuno obietterà che non è per niente poco. 
E se invece dico che questo basta per far dimenticare per novanta minuti la crisi in corso e, con i tempi supplementari, anche le amarezze della vita pubblica o politica del Paese, qualcun altro obietterà che non è giusto mischiare sport e politica. 
E se invece dico che i mondiali in Ucraina sono stati costruiti a colpi di compromessi fraudolenti e costosi tra le mafie locali e lo Stato e che in quel Paese c’è qualche problema di democrazia, qualcuno mi rimprovererà che sono un guastafeste. 
Se poi dico che anche quando seguiamo cross e parate mirabolanti, rigori al cardiopalma e finte da giocolieri non possiamo dimenticare gli scandali del calcio nostrano e mondiale... mi diranno che è un tema da mettere tra parentesi per non turbare le prestazioni dei calciatori. 
Ma io non me la sento di usare la mia voce e il mio respiro solo per gridare goal e che dobbiamo contemporaneamente continuare a gridare la denuncia di un mondo corrotto che si arricchisce illecitamente sulle spalle delle nostre passioni. Non lasciamoci incantare, silenziare, svuotare da “panem et circenses”. 

Abbiamo una testa che forse non sa colpire la palla per mandarla in rete, ma che almeno sa pensare.

lunedì 25 giugno 2012

Nord Uganda, la strage degli innocenti

Fonte: www.nigrizia.it


Almeno 3 mila le vittime dell’epidemia, 200 i morti. Non si hanno cure. Il sospetto è che la malattia sia connessa all’esposizione di prodotti chimici tossici o a cibo contaminato. Forse frutto di sperimentazioni illegali di vaccini.

È da alcuni anni ormai che una misteriosa malattia sta affliggendo la giovane popolazione del Nord Uganda, in particolare nei distretti di Gulu, Pajule e Kitgum. Misteriosa nel senso che la scienza biomedica non è ancora in grado di identificarne con certezza eziologia le modalità di trasmissione e, di conseguenza, le cure efficaci.

La chiamano nodding desease (dall'inglese to nod, cioè "ciondolare il capo" o "abbassare il mento sul petto", che è il gesto tipico della malattia). Colpisce i bambini, riducendoli a veri e propri "automi".

I medici non sanno spiegare di cosa si tratta. All'inizio, fu scambiata per una forma di epilessia. In realtà è una patologia sconosciuta che si manifesta nei bambini dai 5 ai 15 anni con convulsioni e veloci "ciondolamenti del capo" alla vista e all'odore del cibo.

Secondo stime del governo ugandese, 3.000 bambini del Nord Uganda ne sarebbero affetti. Dal 2010 i morti sarebbero 200 (o di stenti o per cause correlate quali annegamenti, suicidi, cadute nelle fiamme del focolare...).
La malattia fu osservata - e riconosciuta - la prima volta negli anni '60 in Sudan. Da lì si sarebbe estesa al Nord Uganda e alla Tanzania. Non c'è modo di curarla. Per ora, l'unica cosa che si può fare è quella di sottrarre dalla vista dei bambini alcuni cibi che procurerebbero la strana reazione.

Alcuni ricercatori hanno osservato una carenza di vitamina B6 nelle popolazioni in cui la malattia è prevalente e avrebbero ipotizzato una relazione con l'oncocercosi, detta anche cecità fluviale, causata da un parassita che si annida nelle acque stagnanti e che, secondo dati Organizzazione mondiale della sanità del 2007, avrebbe reso cieche oltre 3 milioni di persone.

Contattato da Nigrizia, il dottor Justin Ocaya, dell'ospedale di Pajule, incaricato distrettuale nella lotta contro la nuova epidemia, ci ha detto: «È vero: abbiamo una nuova grave epidemia che colpisce i bambini e causa convulsioni, ritardo mentale e uno strano ciondolamento del capo quando vedono cibo e acqua. Oltre 1.000 casi sono stati registrati nel distretto di Kitgum negli ultimi sei mesi. La morte è inevitabile. Non si hanno cure».

Suor Dorina Tadiello, medico e comboniana impegnata presso l'ospedale di Lacor (Gulu), spiega: «La situazione è molto, molto grave. Ci sono famiglie con 3 o 4 bambini colpiti. Quando i genitori devono recarsi nel campo, lasciano i figli a casa, ma non prima di averli legati con corde e catene a qualche palo, per evitare che si facciano del male».

La suora ha aggiunto: «C'è chi ha connesso la malattia all'esposizione di prodotti chimici tossici o a cibo contaminato. C'è stato anche chi ha ipotizzato che è il risultato di sperimentazioni illegali di vaccini. Si tratta soltanto di ipotesi. Se questa seconda fosse confermata, sarebbe una cosa gravissima».

Le popolazioni dei tre distretti ugandesi stanno affrontando da sole il dramma. Sono praticamente abbandonate a sé stesse, visto che il governo di Kampala non sa da che parte cominciare. Cresce la frustrazione tra le popolazioni che hanno poca voce in capitolo e scarsa capacità di rivolgersi ad autorità che potrebbero e dovrebbero aiutarle. In verità, suor Dorina riconosce che «il governo ha stanziato dei soldi perché i bambini colpiti possano essere ricoverati in strutture sanitarie. Ma non ci sono cure specifiche. Si è cominciato a somministrare ai colpiti pastiglie di sodio valproato, usato per trattare l'epilessia. Sembra che, dopo la somministrazione di questo farmaco, le convulsioni diminuiscano di numero e d'intensità. Ma siamo ancora in alto mare».

martedì 12 giugno 2012

Mahmoud Sarsak: storia di un calciatore a cui è impedito sognare

Mahmoud Sarsak ha 25 anni, è una giovane promessa del calcio palestinese. Dalla Striscia di Gaza, dove è cresciuto, cercava di raggiungere la Cisgiordania e la sua Nazionale per rincorrere un pallone e, insieme, il sogno di rappresentare il suo paese con il calcio. È stato arrestato nel giugno del 2009 e da 3 anni si trova in un carcere israeliano senza accuse ne’ processo. Dopo 81 giorni di sciopero della fame il suo sogno e la sua vita stanno per finire. 

di Cecilia Dalla Negra 

Il suo nome è Mahmoud Sarsak, e la sua storia è un paradigma. Ha 25 anni, è un calciatore della Nazionale Palestinese.
Una giovane promessa del calcio perché, giovanissimo, ha iniziato ad allenarsi in uno dei luoghi più disagiati del mondo: il campo profughi di Rafah, a sud di una Striscia di Gaza da anni sotto assedio, tra raid aerei, assedio, bombardamenti. 
Racconta il fratello Emad che Mahmoud avesse la stoffa per diventare un campione, e che il primo passo “verso il gol della sua vita” fosse quello di uscire dal ghetto di Gaza e raggiungere i suoi compagni di squadra in Cisgiordania.
La Nazionale Palestinese, primo importante traguardo verso il sogno di giocare in una squadra internazionale, per portare nel mondo quella Palestina non riconosciuta, per rappresentare il suo paese rincorrendo un pallone e, insieme, un ideale di giustizia e libertà. 
La sua storia è un paradigma, perché è quella di tanti ragazzi cresciuti a Gaza che resistono semplicemente continuando a esistere, cercando con ogni linguaggio possibile di raccontare la Palestina e difenderla da chi tenta di cancellarla. Indossando una maglia, magari, o sventolando una bandiera, simboli che almeno nel mondo dello sport dovrebbero poter trovare cittadinanza. 
Aveva la stoffa per essere un campione, e anche il fisico adeguato, 50 kg fa. Prima di passare dal carcere a cielo aperto di Gaza a quello, in cemento armato, di Ramleh, in Israele. 
Il 22 giugno 2009, con le sue valige, Mahmoud Sarsak si dirigeva al valico di Erez, unica porta che collega Gaza ai Territori Palestinesi Occupati, sigillata da Israele. Unico passaggio diretto possibile verso il suo sogno, che si è aperto per portarlo invece verso un’altra prigionia. 
Slegato da gruppi, partiti e fazioni politiche, credeva di non avere niente da temere da quei soldati che controllano il valico. Invece è stato arrestato, condotto del carcere di Ramleh dove, da allora, non è mai potuto uscire. 
Le accuse? Ignote. In 3 anni Mahmoud non le ha mai conosciute, e non ha mai affrontato nessun tipo di processo.
Se per i palestinesi della Cisgiordania è infatti in vigore il regime – illegale – della detenzione amministrativa, in base alla quale Israele può detenerli a tempo indeterminato senza accuse specifiche ne’ processo, per i cittadini di Gaza esiste un valido parallelo: è la “Unlawful Combatant Law” (Legge sui Combattenti Illegali), strumento che consente ad Israele di imprigionarli alle stesse condizioni. Tempo indeterminato, fine pena potenzialmente mai. 
Mahmoud, come molti altri prigionieri prima di lui, 81 giorni fa è entrato in sciopero della fame. Una protesta – l’unica possibile – che o sta uccidendo. E, con lui, il miraggio di una giovane promessa del calcio di poter inseguire il suo pallone e il suo sogno. 
Spiega il legale, Mohammed Jabarin, che il termine per il suo arresto è stabilito al 22 agosto prossimo. Ma non ci sono garanzie che le autorità israeliane non lo rinnovino di altri 6 mesi, come hanno sempre fatto nel corso di questi 3 anni. 
Con lui tanti altri, che solo il 14 maggio scorso avevano siglato un accordo – già ripetutamente violato da Israele – per il miglioramento delle condizioni cui sono sottoposti i prigionieri politici palestinesi. Anche Akram Rikhawi, con cui Mahmoud ha firmato l’appello al governo palestinese e alla comunità internazionale perché agiscano, e non aspettino “di vederci morire”. 
Il 5 giugno scorso alcuni attivisti francesi, in sostegno alla battaglia di Mahmoud, hanno simbolicamente occupato la sede della Federazione di calcio francese.
Come spesso accade, è stato risposto loro di andare a protestare in "altra sede". Un “passaggio palla” ben noto agli attivisti internazionali che si battono per i diritti del popolo palestinese, in una partita ad armi impari che vede sempre il più forte segnare. 
La storia di Mahmoud è un paradigma soprattutto perché non fa notizia. Se il club per il quale gioca fosse una squadra quotata, sostenuta da migliaia di tifosi; se Sarsak fosse una delle tante super-star calcistiche mondiali, se non fosse palestinese, se non fosse stato arrestato da Israele, la sua sarebbe una notizia da prima pagina.
Mahmoud è un giovane calciatore che sta giocando la partita della vita con uno sciopero della fame che lo ucciderà nel silenzio internazionale. Una promessa cui è stato vietato di segnare, di giocare, di sognare.