martedì 11 dicembre 2012

Novembre 2012: scuola di Naggalama



Novembre 2012. Bruno e Italo, durante l'ultimo viaggio in Uganda, hanno avuto la foto dalla preside della scuola di Naggalama.
Come si può vedere la classe è affollata !!!
Nella scuola di Naggalama ci sono 7 classi, dalla Primary 1 alla Primary 7 (che corrispndono alle nostre elementari + medie) con un centinaio di bambini per classe. 
Il numero totale di insegnanti è di 13, preside inclusa.

giovedì 29 novembre 2012

Inter Campus @ Nazioni Unite New York

Fonte: InterCampus

NEW YORK - Ore 10.30 di New York, le 16.30 italiane, la Rappresentanza Permanente d'Italia presso le Nazioni Unite si colora di nerazzurro: 885 Second Avenue, a varcarne la soglia, al 49esimo piano, ci sono Massimo Moratti, la figlia Carlotta che di Inter Campus è presidentessa, gli ambasciatori nel mondo del progetto Luis Figo e Francesco Toldo. 

A fare gli onori di casa l'ambasciatore Cesare Maria Ragaglini, con il quale la delegazione nerazzurra si sposta all'auditorium delle Nazioni Unite, dove il portavoce di Ban Ki-moon ha appena concluso il suo quotidiano report alla stampa. Ora l'attenzione è per le attività di Inter Campus, accolte alle Nazioni Unite come esempio di uno sport che diventa concretamente uno strumento di sviluppo e di pace. 

A prendere la parola Ragaglini: "È un onore per me poter presentare qui alle Nazioni Unite l'Inter, che per altro è da sempre la mia squadra del cuore. Ma l'onore è dovuto al fatto che dell'Inter racconteremo oggi ciò che di più bello significa il calcio: Inter Campus è un progetto che dura da ben 15 anni e restituisce davvero ai bambini che vivono in condizione di disagio la voglia di sorridere e di poter godere del prezioso diritto di giocare". 

Una speranza concreta che ha impressionato Wilfried Lemke, Special Advisor di Ban Ki-moon sullo Sport per la Pace e lo Sviluppo: "Ho conosciuto Inter Campus attraverso i racconti dell'ambasciatore Ragaglini, che mi hanno portato addirittura in Angola. Tutto il mio staff mi parlava di sicurezza, ma quando ci siamo ritrovati in un quartiere difficilissimo, ho incontrato una giovane ragazza, umile, timida, che con mio grande stupore ho scoperto essere Carlotta, la figlia del presidente dell'Inter Massimo Moratti. Impegnata in un luogo pericoloso ad occuparsi dei bambini di strada, che con lei, con Inter Campus, riuscivano a ridere e divertirsi: è con questo atteggiamento che mi piacerebbe vedere i miei figli". 

Ambasciatori nel mondo di queste attività Luis Figo e Francesco Toldo, che all'auditorium si ritrovano a raccontare il loro coinvolgimento davanti ai giornalisti delle più svariate nazioni: "Ho giocato per quasi 20 anni a calcio, di questi solo 4 li ho trascorsi all'Inter - racconta Figo -, ma è proprio in nerazzurro che ho avuto di più in termini di amicizia e considerazione, e soprattutto ho conosciuto Inter Campus. E ora è un onore rappresentarlo. Io nella vita ho avuto l'opportunità di seguire il mio sogno e ora vorrei che i bambini di tutto il mondo potessero seguire il loro, qualunque esso sia. Grazie a questa grande famiglia che è l'Inter si può, grazie a Inter Campus, di cui sono orgoglioso di fare parte, si può". 

Un orgoglio che condivide anche Francesco Toldo, come si percepisce anche nell'ascoltarlo pronunciare queste parole: "Diecimila bambini, 25 paesi, una sola grande speranza di gioco e di vita. Questo è Inter Campus. Non è solo un piacere ma un onore farne parte. Sono felice di essere qui e rappresentare Inter ed Italia per un progetto stupendo come Inter Campus. L'emozione che danno quei diecimila bambini quando li andiamo a trovare è maggiore rispetto a quella per la vittoria di una Champions League. Ma la nostra non è solo beneficenza, è aiutare bambini che non hanno null'altro che problemi ad avere una speranza di vita attraverso il gioco. Ci avvaliamo di partner locali, attraverso il calcio reintegriamo nella società, nella vita, insegniamo il rispetto, le regole non solo del gioco. L'obiettivo è la crescita, non certo solo calcistica, di questi bambini: educhiamo attraverso il calcio bimbi e bimbe, al di là del sesso e delle etnie. Siamo riusciti a far giocare insieme bambine e bambini palestinesi e israeliani. Questo è Inter Campus".

venerdì 16 novembre 2012

domenica 25 novembre 2012, ore 15:00 - AL DI LA' DEI CONFINI


presso i Missionari Saveriani - via Urago, 15 Tavernerio

AL DI LÀ DEI CONFINI
Convegno sulla Cooperazione Internazionale Lariana

in collaborazione con 
Centro Missionario Diocesano, Caritas Diocesana, Missionari Saveriani, Tavolo EPTA, Associazione Medici con l’Africa Como, ASPEm, OVCI La Nostra Famiglia, Il Sole, AVC-CSV, Garabombo, Coordinamento Comasco per la Pace

Tavola rotonda con

mons. Giorgio Biguzzi - Missionari Saveriani 
don Giusto Della Valle - Centro Missionario Diocesano 
Italo Nessi - Tavolo EPTA 
Gianfranco Cattai - Presidente Associazione ONG Italiane 
Veronica Vittani - responsabile Settore Relazioni Internazionali Comune di Como 

modera Michele Luppi - Il Settimanale della Diocesi di Como 

per informazioni 
Coordinamento Comasco per la Pace 
031 927644 info@comopace.org www.comopace.org

giovedì 15 novembre 2012

Inter Campus - Sport Passione Impegno



F.C. Internazionale Milano annuncia che, per celebrare i 15 anni di attività, Inter Campus e Skira Editore pubblicano un libro che testimonia la straordinaria esperienza nerazzurra nel mondo attraverso le immagini del fotografo Franco Origlia.


Inter Campus – Sport Passione Impegno verrà presentato in anteprima durante Book City Milano da Francesco Toldo e Don Gino Rigoldi il 18 novembre 2012 alle ore 10.30 presso l’Acquario Civico. Modererà l’incontro il giornalista Andrea Ramazzotti.



Il volume raccoglie oltre 200 immagini: un modo per condividere le realtà, le trasformazioni e gli avvenimenti principali del mondo visti dall’originale prospettiva delle comunità dove vivono e giocano i bambini di Inter Campus, i veri e propri protagonisti. 



Una narrazione coinvolgente ed emozionante fatta di forti contrasti, gioia e amicizia, con l’introduzione di Milly e Massimo Moratti, i primi a credere nel progetto di Inter Campus, oggi diventato un’appassionante realtà.

lunedì 15 ottobre 2012

SCHIAVI DEL CALCIO, QUANDO IL SOGNO DIVENTA INCUBO


Una domenica senza calcio di serie A può essere l’occasione per approfondire argomenti di cui in genere si parla poco o quasi mai. Come, per esempio, di ciò che succede ogni anno in Africa.
Li chiamano i “nuovi schiavi del calcio”, un esercito la cui stima approssimativa parla di ventimila unità, reclutati tra giovani minorenni provenienti dall’Africa. Ragazzini con il mito dei calciatori di successo come Eto’o, Drogba o Weah, ai quali viene prospettato un futuro roseo.
Ma dietro la gloriosa facciata di questi rari fuoriclasse del calcio si cela un mondo completamente diverso. Documenti falsificati e dati anagrafici modificati per aumentare l’età di un ragazzo troppo giovane. Famiglie che si indebitano sino al punto di vendere la propria casa per avvicinare i propri figli agli osservatori e magari anticipare i costi di un viaggio in Europa per un provino. Procuratori senza scrupoli che non si fanno problemi a scomparire quando questi aspiranti calciatori non riescono a superare la prova. Giovani abbandonati in un Paese sconosciuto, senza i soldi né la forza di tornare a casa ed ammettere il proprio fallimento, ad una famiglia che ha impiegato tutti i suoi risparmi per quella occasione.
Ragazzi che piuttosto che tornare indietro scelgono di restare in Europa, anche a costo di vendere borse per strada o spacciare droga per racimolare soldi e tentare di risanare il debito dei loro genitori. Clandestini giunti nel continente europeo con finti contratti di lavoro costruiti ad hoc per aggirare le leggi.
Una delle mete più sensibili è la Francia. Ne arrivano migliaia ogni anno. L’associazione Culture Football Solidaire in un’indagine di qualche anno fa ha censito fra le strade di Parigi 800 ragazzi africani diventati solo ex calciatori. Ma molti finiscono anche altrove, Italia, Germania, Spagna, Paesi dell’Est, dove diventano manodopera per la criminalità organizzata.
Spesso dietro queste operazioni ci sono agenti abusivi o loschi intermediari il cui obiettivo è lucrare sulla crescente richiesta dei campionati professionistici europei, ma in più di un’occasione si sono registrati anche trasferimenti di minorenni ad opera di procuratori internazionali di indubbia fama, con giovani venduti dietro un compenso di decine di migliaia di euro.

La compravendita dei calciatori minorenni è vietata dall’articolo 19 del Regolamento Fifa sullo Status e sul Trasferimento dei giocatori, che recita: “I trasferimenti internazionali dei calciatori sono consentiti solo se il calciatore ha superato il 18° anno di età”. Sono previste, però, delle eccezioni: il trasferimento di un giocatore di 16 anni è consentito all’interno dell’UE o dell’ AEE, per via della sentenza Bosman (che liberalizza il mercato del calcio europeo); se i genitori del ragazzo si sono trasferiti nel Paese della nuova società per motivi indipendenti dal calcio; se è in essere un accordo di collaborazione tra accademie giovanili dei due club (con adeguato alloggio, mantenimento e istruzione). E su queste eccezioni s’innestano i sedicenti procuratori. Falsificano i documenti dei ragazzi, oppure fabbricano falsi attestati in cui risulta che i genitori lavorano in Europa. E per la Fifa è impossibile controllare tutto, specie se i ragazzi giocano in squadre amatoriali, e non riconosciute.
L’unica forma di contrastare questo schiavismo è sul campo. Così dovrebbe fare anche la Fifa, ma le risorse che dedica alla prevenzione di questo fenomeno sono minime. Con il business del calcio che si diffonde verso nuove frontiere, il problema è destinato a rimanere e a crescere.

giovedì 11 ottobre 2012

Milano siamo noi!

Fonte: Inter.it

Derby vinto, lamentele rossonere, sapete perchè l'Inter è stata la migliore?

Perchè questa è una squadra vera. 
Perchè Cassano si assorbe tutta l'energia negativa di questo San Siro al contrario e non gliene frega niente. 
Perchè Cambiasso è un gigante e Milito risparmiato dal Netchi contraccambia con assoluta generosità. 
Perchè Ranocchia alla fine non ha quasi più fiato. 
Perchè Zanetti lo sa che il derby lo devi vincere, altrimenti tu capitano per primo starai male da cani. 
Perchè Handanovic è una porta blindata. 
Perchè tutti, i titolari dall'inizio, quelli subentrati dopo, proprio tutti, a cominciare da quel mister Stramaccioni abbracciato da Cassano che dedica al suo pubblico la vittoria, per finire al team manager Cordoba che i derby li conosce troppo bene, sanciscono qui, in questa sera di ottobre, il loro senso di esistere. 
Si riassume in tre parole, da più di cent'anni si aspetta due volte a campionato di urlarle: Milano siamo noi!

giovedì 27 settembre 2012

4 ottobre 2012 - Presentazione del libro “La trappola”

Giovedì 4 ottobre alle ore 18.00 presso la Libreria la Feltrinelli di Varese, Corso Aldo Moro 3 (All'incontro sarà presente l'Autrice) 


Una giovane donna, africana, calciatrice. Un sogno, l'Europa, che chiama Mbeng. Il racconto di un viaggio che è una vita – settemila chilometri in otto anni. 
Un percorso lungo e tortuoso nel tempo e nello spazio, aggrappata al football per avvicinare l’Europa. La storia di un inganno, di un sogno – la fortezza Mbeng – che è

illusione. E la narrazione di una rinascita, ritornando all’Africa.

E' la sintesi del libro-testimonianza La trappola, scritto dalla camerunese Clariste Soh Moube nel 2009 e appena pubblicato in Italia da Infinito edizioni con le prefazioni di Aminata Traoré, Dagmawi Yimer e Giulio Cederna.

Dalla fine della sua odissea Clariste vive a Bamako, in Mali, dove a fianco di Aminata Traorè – una delle grandi voci dell'altermondialismo africano - lavora come assistente ricercatrice presso il Centro Amadou Hampaté Ba.

Grazie a Medici con l’Africa CUAMM Varese, in collaborazione con APA/Amici Per l'Africa,
Clariste è in Italia in questi giorni per un tour di presentazioni del libro che la porterà anche a Ferrara ospite del Festival Internazionale di Letteratura. La sua presenza ci consentirà anche di inquadrare l'attuale situazione e le prospettive del Mali, suo paese d'adozione, dopo il colpo di stato del marzo scorso e la successiva divisione tra il sud del paese e il nord in mano ai gruppi jihadisti Aqmi (Al Qaida nel Maghreb Islamico) e Ansar Dine (Difensoridella Fede).

LA TRAPPOLA
L’odissea dell’emigrazione, il respingimento, la rinascita di Clariste Soh-Moubé, traduzione di Max Hirzel, prefazione di Giulio Cederna, introduzione di Dagmawi Yimer, presentazione di Aminata D. Traore
Infinito Edizioni, pag. 158, € 13,00

Dalle prefazioni di Dagmawi Yimer e Giulio Cederna
“Cara sorella e compagna di viaggio, chiunque leggerà questo tuo libro ricordi che dietro ciascuna persona che viene pestata, ammazzata, annegata in mare o umiliata, stuprata, c’è almeno una madre che la pensa, che l’aspetta. Attraverso il tuo racconto ho intravisto le donne e le ragazze che hanno viaggiato con me. Donne con nomi e cognomi, che hanno
lasciato dietro madri, padri, fratelli, figli, prima che questo viaggio le spogliasse di tutto”.
(Dagmawi Yimer)

“La testimonianza di Clariste ci interroga. Ha il merito di illuminare dall’interno la Trappola: il paradosso di un mondo che ha globalizzato i bisogni e georeferenziato i diritti, promesso lo scambio universale dei sogni e delle merci, e costruito muri altissimi per arginare la libera circolazione degli esseri umani”. (Giulio Cederna)

Modera l’incontro il medico-scrittore varesino appassionato d’Africa Dino Azzalin.


mercoledì 26 settembre 2012

INTER CLUB KAYUNGA per la stagione 2012-2013

Cari soci,

la nuova stagione calcistica è alle porte e di conseguenza parte anche la nuova campagna tesseramenti all’INTER CLUB KAYUNGA per la stagione 2012-2013.

La scorsa stagione calcisticamente parlando è stata avara di soddisfazioni e dopo sei stagioni in cui i colori nerazzurri hanno primeggiato in Italia, in Europa e nel Mondo, siamo rimasti a guardare gli avversari alzare i trofei stagionali, ma certi che i nostri colori, nonostante un certo vento di ridimensionamento, torneranno a competere ai massimi livelli in ogni competizione.

Vi invitiamo a continuare a sostenerli e soprattutto a rinnovare la tessera del club, in considerazione del fatto che il nostro club al di la delle vicende puramente sportive da cui nasce, ha delle finalità ancor più alte…..

Come ben sapete attraverso la nostra passione cerchiamo, nel possibile, di far arrivare qualche piccolo aiuto ai nostri amici ugandesi. In questi anni grazie al nostro interessamento che ha favorito il contatto tra l’INTER e il CUAMM Medici con l’Africa, le attività di Inter Campus sono diventate operative presso la scuola di Nagallama e da qualche tempo si sono attivate anche presso altre strutture nel nord del paese dove la situazione locale è ancor più disagiata.

Seppur l’intervento di tale organizzazione è finalizzato principalmente ad attività sportive/ricreative, il movimento, l’interesse e le novità che portano smuovono altre situazioni. A tal proposito vi invitiamo a prendere visione, attraverso il nostro blog, di una videointervista che il nostro presidente Italo Nessi ha effettuato nelle scorse settimane negli studi di InterChannel in cui racconta la realtà locale, il tutto accompagnato da immagini dei luoghi e delle attività sopra citate.

In occasione dell’ultima assemblea tenuta in data 11 luglio si è concordato tra i soci presenti di porre come data limite, per la raccolta dei rinnovi o eventuali nuove iscrizioni, il 30 settembre p.v. in modo di consentire al coordinamento di stampare tutte le nuove tessere e poter ritirare le stesse con i relativi gadget in una sola volta entro una data che non vada oltre fine ottobre inizio novembre.

Le quote associative rimangono invariate, nonostante l’aumento di 1 euro della quota da versare al coordinamento, quindi si tratta di euro 25 per i soci senior e di euro 10 per i soci junior. Naturalmente saranno ben accetti nuovi soci, per i quali servirà fornire tutti i dati anagrafici comprensivi di codice fiscale.

In conclusione rinnoviamo quindi l’invito a formalizzare fin d’ora il rinnovo della tessera del club attraverso i vostri soci di riferimento o inviando mail di conferma all’indirizzo ernyele@alice.it

Ricordiamo inoltre che il club dispone di due abbonamenti allo stadio al secondo anello arancio validi oltre che per il Campionato anche per le partite di Europa League e Coppa Italia. Formalmente tali abbonamenti sono intestati a Italo e Bruno, ma potranno essere usati da chiunque ne farà richiesta tramite accordo in tempi utili rispetto la data della partita a cui si è interessati, versando euro 25 per abbonamento ed effettuando il passaggio di utilizzo attraverso l’apposita sezione nel sito www.inter.it. Da questa stagione tali abbonamenti non saranno più caricati sulla tessera del tifoso degli intestatari, quindi per l’utilizzo da parte di terzi non è necessario il possesso della personale tessera del tifoso, se non espressamente richiesta per disposizione delle autorità di pubblica sicurezza.

Cordiali saluti
Il Direttivo
INTER CLUB KAYUNGA

lunedì 10 settembre 2012

La lezione incompresa del tiki-taka


Articolo di Luigi Cavallaro uscito su Alias 8 settembre 2012
Segnalato da Mimmo Arnaboldi

A due mesi dalla dura sconfitta con la Roja nella finale degli Europei, una riflessione sulla ricchezza strutturale e i «debiti» del modello spagnolo

Profittando della pausa del campionato, con le squadre nazionali di nuovo in campo per disputarsi le qualificazioni ai prossimi Mondiali del Brasile, è forse possibile tornare a riflettere sulla lezione impartita a tutti
noi dalla Spagna in occasione dell'ultimo Europeo di calcio. Una lezione che, nonostante la severità con cui si è materializzata ai nostri danni (un imponente 4-0, che ha fissato il nuovo record di scarto in una finale del torneo), stènta ad essere compresa nel suo vero significato e soprattutto nelle sue implicazioni.
Il fatto è che il «modello spagnolo» è una costruzione troppo strana per poter essere davvero recepita dalla
cultura dominante nel nostro Paese.
Anzitutto, perché non si tratta di una edificazione semplice e lineare, ma piuttosto di un patchwork stratificatosi nel tempo, che ha messo insieme principi e sistemi di gioco lontanissimi dal nostro modo di intendere il calcio. Prendiamo il famoso o famigerato tiki-taka. Sebbene il suo nome dati piuttosto di recente (pare sia stato coniato in occasione dei mondiali 2006 da un telecronista della tv spagnola per fotografare in modo onomatopeico l'interminabile fraseggio della Roja), le sue origini risalgono ai primordi del calcio e sono scozzesi: furono infatti due britannici, Arthur Johnson e Jack Greenwell, a insegnare il passing game ai calciatori del Real Madrid e del Barcellona.
È un calcio che al solipsismo del dribbling predilige un movimento corale fatto di veloci combinazioni di
passaggi palla a terra, e in cui la tecnica individuale risulta essenziale non tanto per districarsi in slalom fra
mute di avversari, ma per controllare il passaggio ricevuto e indirizzarlo ad un compagno smarcato nel più breve tempo possibile. Gli scozzesi lo opposero agli inglesi fin dalla prima partita internazionale che là storia del calcio ricordi, a Glasgow, il 30 novembre 1872, riuscendo a concludere il match sullo 0-0 nonostante la loro minore prestanza fisica rispetto agli avversari (un fatto sottolineato dalle cronache di allora, che troppo importante era la stazza degli atleti in quel tempo in cui il calcio cominciava faticosamente a separarsi dal rugby). Ma già nel 1920 il Madrid Sport scriveva di come il Barcellona giocasse «con profusioni de elegancia en el juego raso de pases cortos».
Oppure consideriamo la scelta tattica che più ha fatto discutere i nostri commentatori, quella di schierare Cesc Fàbregas come falso nueve, cioè come finto centravanti.
La sua genesi è ungherese e rimonta alla seconda grande fecondazione subita dal calcio iberico, intorno alla
metà degli anni '50, quando alcuni dei calciatori più talentuosi della grandissima squadra che aveva incantato ai Mondiali del '54 - Laszlo Rubala, Sandor Kocsis, Zoltan Czibor e Ferenc Puskas - approdarono in Spagna, dividendosi tra Barcellona e Real Madrid. Era il periodo in cui in tutta Europa si andava generalizzando l'impiego del WM, un modulo che richiedeva come terminale offensivo un centravanti grande e grosso («un toro privo di cervello che attacca a testa bassa», secondo la pregnante caratterizzazione di Brian Glanville).
E poiché in Ungheria praticamente non esistevano attaccanti con caratteristiche simili, i magiari avevano incominciato a far arretrare il centravanti fino a farlo diventare un centrocampista aggiunto, inducendo per contro i due interni offensivi a spingersi in avanti per creare un fronte d'attacco a quattro assai più dinamico.
Dal punto di vista dello schieramento in campo, una soluzione del genere equivaleva a invertire la «W» del WM, che di fatto diventava un «MM». Ma l'arretramento del centravanti fin quasi a metà campo dava luogo ad urnfflemma pressoché irresolubile per il centrale difensivo avversario, perché questi, inseguendolo, avrebbe lasciato Un buco in mezzo ai due terzini, ma lasciandolo libero dalla marcatura gli avrebbe consentito di giocare indisturbato e dettare la giocata ai compagni. Se ne accorse lo stopper inglese Harry Johnston, quando si trovò a marcare Nandor Hidegkuti in occasione del famoso incontro tra Inghilterra e Ungheria a Wembley, il 25 novembre 1953: partendo dalla metà campo, il falso nueve magiaro segnò infatti una tripletta e ispirò le marcature di Puskas e Boszik, nella peggiore disfatta interna (3-6) che il calcio inglese abbia mai annoverato nella sua lunga storia.
Se appena si pensa a quanto il calcio ungherese dovesse agli insegnamenti del più grande dei maestri di calcio scozzese, Jimmy Hogan, non è difficile comprendere come un simile modo di interpretare il ruolo del centravanti fosse affatto coerente con la piattaforma evolutiva del calcio spagnolo. Sarebbe stato però un argentino a mostrarlo più di ogni altro. Nessuno come Alfredo Di Stefano (centravanti del Real Madrid
dal 1953 al 1964) fu infatti in grado di capitalizzare l'insegnamento principale deWAranycsapat, la «squadra d'oro» ungherese: giocando assai arretrato, dietro le ali, e costruendo la sua azione partendo in una posizione compresa fra centrocampo e attacco, Di Stefano segnò valanghe di gol e fu tra i principali artefici - insieme a Puskas, Kopa e Gento - della straordinaria sequenza di vittorie del Real nella neonata Coppa dei campioni. (È a lui che bisogna guardare per comprendere i movimenti di Leo Messi: chi lo paragona a Pelé o Maradona sbaglia clamorosamente il riferimento storigo.)
O ancora, consideriamo la perfetta fase difensiva che la Roja ha esibito per tutto il torneo, chiuso con un solo
gol al passivo. Siamo qui al cospetto di una tecnica collettiva di riconquista del pallone che in Spagna arriva nel 1971, insieme all'olandese Rinus Michels, già allenatore dell'Ajax , e futuro coach dei tulipani ai i Mondiali-del '70.'idea è che bisogna portare il pressing sul portatore di palla avversario con almeno tre
giocatori, in modo da indurlo i frettolosamente allo scarico, e 1rinnovare il medesimo attacco combinato sui ricevitori successivi: più frettolosi sono i passaggi, più i aumenta la possibilità di errore e, i specularmente, di riconquistar palla.
Ma affinché un pressing del genere , risulti efficace, bisogna ridurre lo i spazio entro cui gli avversari possono
muoversi, il che a sua volta richiede che la distanza fra i reparti si , mantenga quanto più corta possibile, i in modo da limitare la corsa di ciascun giocatore a non più di dieci metri di campo.
L'effetto combinato di questa dinamica collettiva consiste nella chiusura delle linee di passaggio agli avversari, nonostante in ogni singola azione di pressing almeno due di loro risultino potenzialmente liberi da marcatura. Se ad esempio il pressing viene portato a metà campo dai centrocampisti centrali, gli attaccanti retrocedono verso la mediana, in modo da inibire al portatore di palla lo scarico all'indietro, mentre contemporaneamente i difensori salgono a posizionarsi sulla verticale di un possibile scarico in avanti, collocando con ciò stesso in
fuorigioco gli attaccanti avversari e rendendosi uno actu disponibili al raddoppio e alla triplicazione della
marcatura.
Sbaglierebbe chi pensasse ad una peculiarità esclusiva del Barca di Guardiola: basti dire che con i blaugrana selezionati da Del Bosque si sono integrati alla perfezione i calciatori del Real Madrid (Arbeloa, i Sergio Ramos e Xabi Alonso), del Valencia (Jordi Alba) e perfino espatriati in Premier League (David i Silva, Torres, Mata). Il vero è che imovimenti del genere costituiscono ormai un patrimonio comune di molti calciatori spagnoli, se non altro i perché l'ibridazione olandese non ha i riguardato soltanto il Barcellona di 1
Gruijff, Van Gaal e Rijkard: anche senza considerare la fugace apparizione di Guus Hiddink, fu infatti un olandese, Leo Beenhakker, a guidare il Real Madrid per ben quattro stagioni fra 0 1986 e il 1992, conquistando tre campionati, una Coppa del Re e una Supercoppa.
Queste considerazioni sarebberogià sufficienti per intendere quale ricchezza strutturale si celi nel «modello spagnolo» e farsi una ragione dell'impressionante collezione di successi messi a segno dagli iberici negli ultimi quattro anni: due campionati europei e un campionato del mondo, a bui vanno logicamente sommate due Champions League e due coppe del mondo per club vinte dal Barcellona e due Europe, League e due i
Supercoppe europee vinte dall'Atletico Madrid. Come spiegare allora gli spericolati pronostici pro-azzurri di molti influenti commentatori sportivi, nell'imminenza della finale dell'Europeo? E come dar conto di certi inveleniti commenti del giorno dopo, che stigmatizzavano il fatto che 1 avesse vinto la squadra della nazione
' calcisticamente più indebitata? , L'impressione, nell'un caso come i nell'altro, è che si tratti dell'ennesima
i conferma dell'incapacità della nostra cultura calcistica (e non solo) di affrancarsi da quell'individualismo
i metodologico che, dopo essersi i affermato nella teoria economica neoclassica, è dilagato fino a colonizzare le più disparate branche i della conoscenza. E che proprio sulla questione del «debito» mostra tutte le sue insufficienze costitutive. 
In effetti, che la Spagna sia una nazione calcisticamente indebitata è i verissimo: i club della Liga devono al
fisco spagnolo circa 750 milioni di euro, Real Madrid e Barcellona hanno esposizioni bancarie per circa
600 milioni a testa e se si somma il loro debito con quello del Valencia, deU'Athletic Bilbao e dell'Atletico
i Madrid si arriva all'astronomica cifra di due miliardi di euro. Ma non è meno vero che, senza questa  capacità di spesa, il calcio spagnolo non avrebbe potuto continuare ad assicurarsi le prestazioni di coloro
che ne sono diventati alfieri, a cominciare da Xavi e Iniesta: nel lungo periodo, infatti, non c'è migliore indicatore delle loro eccelse qualità dei loro elevatissimi stipendi.
E senza la possibilità di trattenere i migliori talenti nazionali, di farne affluire degli altri dall'estero e di implementare per loro tramite le complesse metodiche di gioco racchiuse nelsuo-codice genetico^a
Spagna non sarebbe mai potuta assurgere al rango di «prima scuola nazionale post-globalizzazione», né i
club spagnoli sarebbero riusciti ad occupare cinque degli otto posti disponibili nelle ultime semifinali di
Champions e Europe League.
Si dovrebbe aggiungere che l'errore, semmai, sta nel supporre che una squadra di calcio possa essere
gestita come un'impresa capitalistica e al contempo essere vincente, ma non c'è spazio per dirne qui. Vale
invece la pena di aggiungere che c'è un'altra e più pregnante accezione del concetto di «debito» che può
ritenersi consustanziale al «modello spagnolo». In effetti, vedendo giocare la Roja, si sperimenta talvolta una
sorta di dilemma cognitivo: la palla circola da un calciatore all'altro attraverso passaggi singolarmente individuabili, ma tutto il comportamento della squadra sembra determinato da un «campo generale» di attività, senza alcuno i specifico riferimento a questo o a quel calciatore. In certi passaggi no-look di Xavi o Silva sembra persino di avere a che fare con movimenti che si susseguono l'uno all'altro pur in assenza di specifici canali di comunicazione, quasi che i singoli fossero sintonizzati su una fluttuazione collettiva e danzassero» al ritmo dettato da quest'ultima. Non , è un caso che, quando si voglia i rappresentare in un diagramma il flusso della palla durante una partita della nazionale spagnola, il risultato è un grafo che ricorda il fittissimo reticolo di un cristallo: non c'è nulla di meglio per comprendere che i parametri che determinano
l'ordinamento dei calciatori al suo interno dipendono dal modo in cui essi sono organizzati, cioè dalla dinamica che regola le loro interazioni.
È chiaro che un'organizzazione del genere vincola la libertà di ciascun giocatore di muoversi a proprio piacimento: ogni movimento del singolo deve infatti tener conto della posizione del compagno, dell'avversario e della palla. Ma è proprio la consapevolezza di questo vincolo che consente ai calciatori spagnoli di scansare il rischio di considerare come proprio «merito individuale» ciò che è invece prodotto di una dinamica collettiva. È come se quel modo di giocare obbligasse ciascuno a esperire continuamente il proprio «debito» nei confronti del resto della squadra: un debito, beninteso, che non può i essere in alcun modo estinto, ma può i essere solo amministrato nella forma di operae pei il «bene comune».. 
Il pensiero corre qui ad uno schema logico di matrice religiosa (si i pensi alla struttura affine del dono della Grazia), né ci sarebbe da stupirsene, trattandosi della, cattolicissima Spagna. Ma paradossalmente è proprio uno schema del genere che può permettere di concepire l'organizzazione del gioco nella forma di un potere «obbligante» ancorché non estrinsecamente «costrittivo», al quale i singoli sono assoggettati proprio in quanto dotati di libero arbitrio e dunque potenzialmente in grado di distruggerlo. Qualcosa che la nostra
cultura postmoderna, abituata a pensare solo in termini di «individualità» e mai di «sistema», e Dal passing game britannico al falso nueve ungherese al pressing olandese. 
C'è un patchwork di principi e sistemi di gioco alla base della prima scuola nazionale post globalizzazione
incline piuttosto a considerare il «debito» come l'asservimento conseguente ad una colpa [à la Nietzsche, per intenderci), non è più capace di fare. E che spiega finalmente come mai il gioco della Spagna venga largamente considerato come frutto di specifiche«singolarità eccezionali», dunque impossibilitato a «fare epoca»: un po' come accadde a suo tempo per l'Ungheria di Puskas o l'Olanda di Cruijff, squadre considerate eccelse soprattutto per i talenti individuali che vi giocavano e proprio per ciò non riproducibili.
Se dovessimo dirla nel linguaggio della fisica moderna, potremmo dire che l'atteggiamento italico di fronte
al gioco della Roja ricorda quello di chi, trovandosi ad attraversare una stanza sovraffollata e in cui ci si
muove a fatica, pensasse che lo sforzo del movimento deriva da una zavorra che qualcun altro, a sua
insaputa, gli ha messo sulle spalle: nient'altro che un problema individuale. Adesso però sappiamo che ciò che individualmente pare una zavorra è in realtà l'effetto di un campo di forze, sta qui il senso ultimo
della scoperta della bosone di Higgs, la «particella di Dio». Sarebbe il caso, allora, di adeguare le nostre forme di pensiero alla complessità del reale, piuttosto che continuare a tentare sterilmente d'ingabbiare quest'ultimo nelle nostre «semplici» quanto sbagliate idee. Tanto più che nel calcio è stata già scoperta da tempo la «particella» che nel campo agisce da schermo e conferisce massa a tutte le altre: è Xavi.

venerdì 7 settembre 2012

RIFUGIATI FOOTBALL CLUB

Ho appena concluso di leggere un libro grandioso, che narra di una realtà grandiosa e che vede il gioco del calcio protagonista.


Rifugiati Football Club
Autore St. John Warren
Editore Neri Pozza  (collana Bloom)

Se qualcuno fosse interessato a leggerlo me lo faccia sapere.
Sarò ben felice di prestarlo.

Descrizione
Clarkston, Goòrgia, era una tipica cittadina del Sud fino a quando non è stata designata nel 1990 come centro di accoglienza per i rifugiati, diventando la prima dimora americana per innumerevoli famiglie in fuga dalle zone di guerra di tutto il mondo. Improvvisamente le sue strade si sono riempite di donne che indossano il velo, ovunque si è diffuso il profumo del curry e del cumino, e ragazzi di ogni colore hanno iniziato a giocare a calcio in qualunque spazio disponibile. La città è diventata anche la casa della carismatica Luma Mufleh, una donna giordana che ha studiato negli Stati Uniti e che ha fondato una squadra di calcio composta dai ragazzi di Clarkston. E quei ragazzi hanno trovato un nome per la loro impresa: i Fugees, i Rifugiati. L'incredibile storia dei Fugees inizia il giorno in cui Luma vede qualcosa di inaspettato: un gruppo di ragazzi sopravvissuti alle guerre, alla violenza, alla morte di fratelli e genitori, sta giocando a calcio con una passione e una grazia che sembrano annullare qualsiasi orrore. Basta un attimo e Luma comprende il suo destino. Un pomeriggio del giugno 2004 gli aspiranti calciatori accorrono entusiasti e increduli al primo provino dei Rifugiati e Luma è pronta a scoprire ed esaltare ciò che hanno davvero in comune. "Rifugiati Football Club" segue una grande stagione dei Fugees e della loro allenatrice.

sabato 1 settembre 2012

Viaggio agosto 2012: le foto

Opio Aloysius, nostro futuro socio e Italo Nessi o con il mini poster di Kiprotich, ugandese vincitore della maratona olimpica.





mercoledì 29 agosto 2012

Il campionato più pazzo del mondo


Fonte: Internazionale.it

Non ci sono dubbi, il campionato italiano è il più folle del mondo. Per esempio, abbiamo una classifica di Serie B che vede nove squadre (nove!) cominciare la stagione con dei punti di penalizzazione, a causa dello scandalo del calcioscommesse. Sembra un leaderboard di golf piuttosto che una classifica di calcio. E siamo solo all’inizio, perché le indagini sono in corso in diverse città, dal nord al sud.

Sicuramente ci saranno ancora delle rivelazioni durante la stagione. Poi ricorsi e controricorsi al Coni, o al famoso Tar del Lazio. Per seguire il calcio italiano bisogna avere le spalle larghe, visto che i tifosi insultano tutti i giornalisti che osano indagare e cercano la verità, e come minimo una laurea in giurisprudenza. E non c’è più Gigi Garanzini a Radio 24. Che tristezza.

Abbiamo passato un’estate con trionfi (Prandelli, Balotelli, Pirlo, Cassano e Buffon agli Europei, piegati solo dalla Spagna dei miracoli in finale) e con veleni. La vicenda Conte ha oscurato il disastro dello scandalo in sé. Tutto è finito, come sempre, in una guerra fra tifoserie e fra reciproche accuse di complotti e dietrologie. Ognuno difende la sua squadra contro tutti, anche quando i cosiddetti “crimini” sono stati commessi altrove.

E intanto il sistema crolla. Non ci sono più soldi. Gli stadi non stanno più in piedi. Il Cagliari gioca a Quartu o a Trieste. Il campo di Bari fa schifo. Perfino Berlusconi, il magnate che ha comprato tutti (Van Basten, Lentini, Papin, Rivaldo, Gilardino, Ronaldinho) non tira fuori più un euro. Vende. Negli anni novanta, ai tempi d’oro, c’erano 70mila abbonati a San Siro per vedere il Milan. Quest’anno? Sono appena 20mila.

E ci sono ancora i vari Petrucci, Abete e il povero, tragico Stefano Palazzi, il “procuratore” che lavora ventiquattr’ore al giorno, ma non sa più cosa fare. Un disastro. Si è parlato molto di un cosiddetto top player, ma non è arrivato nessuno, per ora.

Ma, come ha detto Bob Dylan, “the darkest hour is right before the dawn”. Il calcio Italiano è sempre un sistema che produce tanti, ma proprio tanti giovani di qualità: Insigne, Verratti, Destro, per citarne solo tre. Stelle del futuro, in un’Italia sempre più multietnica dove giocatori come El Shaarawy, Ogbonna e Balotelli giocano in nazionale.

Senza i soldi per comprare un sacco di stranieri, le società dovrebbero puntare sui giovani. L’ultima grande epoca dell’austerità ha preceduto i grandi mondiali del 1978 e del 1982. Chissà questa volta. In ogni caso, siamo sulle montagne russe. Tighten your belts.

sabato 25 agosto 2012

Povera, arrabbiata ma forse più bella ed equilibrata: al via la Serie A 2012-2013 – Il Fatto Quotidiano

Fonte: Il Fatto Quotidiano

Schiacciata tra scandali scommesse e lotte di potere, veleni assortiti e polemiche più o meno futili,spending review necessarie e ridimensionamenti coatti, spalti vuoti e fughe di campioni, si apre oggi, con l’inizio della Serie A 2012-13, una nuova stagione per il calcio italiano. Quello che una volta era considerato il campionato più bello del mondo, dopo aver ceduto il passo alla Premier inglese e alla Liga spagnola, ha dovuto oramai inchinarsi anche alla Bundesliga tedesca. E, se non si ripiglia in fretta, presto potrebbe sentire sul collo il fiato di altri campionati, come testimonia quel coefficienteUefa che già l’anno scorso ha ridotto a tre le squadre italiane in Champions. Eppure, padroni del vapore permettendo, da un penoso stato di necessità si potrebbero riscoprire antiche virtù. E un nuovo modo di fare calcio.

SCANDALI E VELENI

La Serie A comincia oggi (Fiorentina-Udinese e Juve-Parma) con una classifica già ‘sporca’ prima ancora di scendere in campo: -1 per Sampdoria e Torino, -2 per l’Atalanta e -6 per il Siena. Il frutto, velenoso, delle prime sentenze dello scandalo calcioscommesse che ha travolto, per l’ennesima volta, il calcio italiano. E ancora si attende che sul tavolo del procuratore federale Palazzi giungano i faldoni delle inchieste del quarto (Napoli e Genova) e quinto (Bari) filone delle indagini delle procure. Tra indagati e indignati, prosciolti, patteggiati e condannati, la squalifica più clamorosa – in attesa del ricorso al Tnas, che probabilmente ridurrà sensibilmente la pena – è però quella del tecnico bianconero Antonio Conte, che sarebbe per adesso costretto a saltare l’intero campionato. E così è di nuovo Juventus contro tutti, non solo sul campo. Dalle polemiche cinesi con il Napoli dopo la Supercoppa, alle schermaglie dialettiche con gli storici nemici Zeman eMoratti, alle violente accuse vomitate dal presidente Agnelli contro i vertici federali, che nascono da vecchi rancori e, dietro la conta degli scudetti e delle stelle, nascondono 443 milioni di buoni motivi: ovvero il risarcimento in euro per i presunti danni subiti da Calciopoli che è stato richiesto dalla Juve alla Figc.

SPENDING REVIEW

Una cifra simile – 495 milioni di euro – è invece il risparmio complessivo alla voce stipendi delle 20 squadre di Serie A rispetto alla stagione precedente. Una spending review calcistica, necessaria e doverosa, che è però avvenuta a fronte di un impoverimento tecnico e qualitativo del campionato. In attesa di conoscere il destino dei vari Cavani, Jovetic e De Rossi, hanno già abbandonato l’Italia campioni affermati come Ibrahimovic, Thiago Silva e Lavezzi, e giovani di belle speranze comeVerratti e Borini: restituendo un po’ di ossigeno ai bilanci delle squadre e riportando in auge il baratto (Cassano-Pazzini) come la forma di scambio di un calciomercato improntato alla decrescita.E se è vero che i debiti complessivi della Serie A (2,6 miliardi) sono inferiori a quelli di Liga e Premier, è anche vero che il calcio italiano non possiede quell’ ‘avanzo primario’ che invece protegge il paese a livello macroeconomico. Alle società italiane mancano, infatti, sia gli stadi di proprietà – e vedremo quali potranno essere gli effetti a lungo termine della nuova legge (link legge stadi) – che la capacità vendere il proprio marchio nei paesi emergenti: ovvero le fonti principali di introiti per gli altri top club europei. E mentre con poche eccezioni, come Juve e Roma, gli abbonati disertano in massa gli stadi, i diritti televisivi (poco meno di 3 miliardi in tre anni) che una volta erano il nostro vanto cominciano a non reggere il confronto con Premier (quasi 5 miliardi e +70% rispetto al triennio precedente) e Bundesliga (cifre inferiori ma in crescita del 52%).

LE SETTE SORELLINE

Ma se è vero che dal letame nascono i fiori, ecco che la crisi del calcio italiano potrebbe portare a un campionato interessante e combattuto come non mai. Dalle sette sorelle degli anni Novanta, gonfiate dalle plusvalenze tossiche di Parma, Lazio e Fiorentina, che facevano tremare il mondo e dominavano in Europa (9 finali di Champions di cui 4 vinte, 13 di Coppa Uefa di cui 8 vinte, 5 di Coppa delle Coppe di cui 4 vinte) alle sette ‘sorelline’ di oggi, che non spaventano certo il continente ma potrebbero far divertire la penisola. La Juve campione, in campo stasera a Parma, si è rinforzata ulteriormente (Isla, Asamoah, Lucio, Pogba e Giovinco) e nessuno avrebbe potuto impensierirla per il bis, non fosse stato per l’incognita Conte. E così, date per protagoniste le due milanesi anche solo per motivi storici – la veste ‘ggiovane‘ che si sono date serve in realtà a mascherare la fine di cicli più o meno vincenti – la toponomastica del campionato ri-accoglie a braccia aperte nella lotta al vertice il Napoli e la Roma, che con Insigne e Destro simboleggiano la meglio gioventù del nuovo calcio italiano che da un’età media di 27,5 anni nella stagione scorsa è scesa oggi a 25,8. Con loro l’Udinese, capace come l’araba fenice di reinventarsi ogni anno dalle ceneri delle sue cessioni, e la nuova Fiorentina di Montella. E se sette sorelline vi sembran poche, tra le novità del campionato – oltre a quelle assolute degli arbitri di porta e delle panchine allungate fino a 12 giocatori – ci sarà il ritorno delle quattro sfide cittadine: Milan-Inter, Roma-Lazio, Juventus-Torino e Genoa-Samp. E tra scandali e polemiche, tagli e rimpianti, anche la possibilità, forse, di ricominciare a divertirsi.

giovedì 9 agosto 2012

Incontro fra tifosi

Ecco la foto dell'incontro con il compagno di tifo Eugenio Mularoni sanmarinese e grande tifoso nerazzurro.
Tempo fà ha conosciuto Tito Dal Lago in quel di Kampala durante un suo viaggio per conoscere il ragazzo che aiuta a distanza attraverso un organizzazione.
Da li è venuto a sapere del nostro club, successivamente la scorsa settimana è stato ad Appiano nella speranza di seguire un allenamento della squadra, purtroppo per lui gli allenamenti erano a porte chiuse.

venerdì 6 luglio 2012

Altro che neroazzurro, in ritiro l'Inter diventa verde

Fonte: Vita.it 
Articolo di Lorenzo Maria Alvaro

Stoviglie usa e getta, penne e sacchetti tutti rigorosamente in Mater Bi.
Benvenuti nel primo ritiro sostenibile del campionato italiano

A Pinzolo -Val Rendena in provincia di Trento dal 5 al 15 luglio 2012 è in programma, come ormai da tradizione, il Ritiro estivo dell’Inter; dieci giorni dedicati agli allenamenti, alla preparazione atletica, a partite amichevoli, ma anche a momenti pubblici ed incontri con i tifosi.
La grande novità di quest’anno però è la scelta di organizzare l’evento in chiave sostenibile.
Per questo sono state messe in campo alcune azioni volte proprio a ridurre l’impatto ambientale dell’evento e sensibilizzare i tifosi sulla tematica.
Sisifo Italia (Gruppo Vita), che è stata individuata come coordinatore del progetto, ha dato vita a un tavolo di lavoro che ha coinvolto una serie di Partner di Sostenibilità.
Con Ecozema si sono sostituite tutte le stoviglie monouso in plastica con materiali biodegradabili e compostabili in Mater-Bi conformi alla norma EN13432 che potranno essere smaltite con la frazione organica (Umido). Le stesse posate che Ecozema ha prodotto per le Olimpiadi di Londra 2012.
Novamont, produttrice della bioplastica utilizzata da Ecozema per produrre le posate olimpiche made in italy, ha prodotto 15.000 shopper in Materbi biodegradabile e compostabile conforme alla norma EN13432 che verranno messi a disposizione dei negozianti di Pinzolo al fine di coinvolgere l'intero territorio nell'evento ambiental-sportivo. Dopo l'uso potranno essere utilizzate per la raccolta della frazione organica. Ha poi realizzato 10.000 penne ancora in materbi e personalizzate per i giovani fans dell'Inter o amanti del territorio di Pinzolo.
L'utilizzo di materiale certificato conforme alla EN13432 permette ogni 100kg di prodotto avviato al compostaggio di risparmiare 25kg di CO2 emesse in atmosfera. (Studio LCA).
L'utilizzo di materiali sostenibili, senza un corretto smaltimento è controproducente. Per questo entra in campo Eurven con i suoi compattatori Greeny che permetteranno a tutti i visitatori di separare correttamente Carta - Plastica - Lattine - Tappi - Vetro - Frazione organiza - Frazione secca residua, che verranno poi riciclati nei diversi impianti di conferimento. Le macchine sono state personalizzate al fine di svolgere anche una funzione educativa e divulgativa.
Inoltre FC Internazionale, Trentino Marketing SpA e il Comune di Pinzolo, grazie a Trenta S.p.A., azienda specializzata nel settore delle energie rinnovabili e del marketing ambientale, certificheranno i consumi elettrici con “100% energia pulita Trenta”- energia generata esclusivamente da fonti rinnovabili quali acqua, sole e vento tracciata e garantita dall’origine, rendendolo quindi il ritiro eco-compatibile.
La certificazione con il label 100% energia pulita Trenta riguarderà le strutture ricettive che ospiteranno gli atleti e lo staff Inter per tutto il periodo del ritiro.
La certificazione comporta l'immissione in rete (tramite l'annullamento di certificati RECS, garantiti da CO.FER, di provenienza italiana e prodotti nell’arco dell’anno in cui vengono immessi in rete), di un quantitativo di energia rinnovabile pari al consumo di energia previsto per tutta la durata della manifestazione, che dà diritto all'ottenimento di status "100% energia pulita" a favore dell'evento stesso. Grazie a questa iniziativa saranno compensate diverse tonnellate di CO2. con un notevole impatto positivo quindi sulla qualità dell’aria.
Ed altre ancora le iniziative messe in campo dagli organizzatori, per esempio, grazie al prezioso lavoro del Servizio Conservazione della natura e valorizzazione ambientale le strutture che accoglieranno la sala stampa, l’Inter Village, il Rendena Village, le aree hospitality etc..saranno costruite utilizzando il legno locale.
Oltre all'aspetto estetico l'uso di materiali locali come il legno costituiscono "materia prima" derivante dalla coltivazione di foreste locali con metodi compatibili con la conservazione del bosco e con la reperibilità delle stesse a km 0. Da non dimenticare la volontà di sensibilizzare i tifosi presenti ad una mobilità alternativa, incentivando l’utilizzo delle biciclette per i trasferimenti in loco e la presenza all’interno dell’area dedicata al ritiro di un “mercato contadino”, per valorizzare il rapporto diretto tra i prodotti della terra e il consumatore.

venerdì 29 giugno 2012

Inter Campus incontra i bambini di Nagalama ed Angal



Fonte: Inter Campus




Prosegue l'avventura Inter Campus in Uganda. 


A Nagalama, presso la st Joseph primary School, che raccoglie ormai quasi mille bambini e bambine, tutti coinvolti nelle attività sportive gestite dagli educatori formati attraverso le visite ed i clinic Inter Campus. 


In questa realtà il nostro partner CUAMM - Medici con l'Africa ha già totalmente affidato agli ugandesi la gestione dell'ospedale affiancato alla scuola, ma il nostro lavoro a favore della comunità continua. 


Infine ad Angal, oltre il Nilo ed al confine con il Congo, in una zona in passato colpita dalla guerriglia e tuttora molto disagiata, continua l’attività sportiva con i bambini legati alla associazione Amici di Angal, ai padri comboniani e sempre con il prezioso supporto logistico di CUAMM. 


I nostri tecnici Alberto e Juri hanno avuto la gioia di rincontrare bambini ed istruttori di una realtà ancora molto marginalizzata, portando materiale sportivo e soprattutto il loro lavoro formativo, prezioso per le persone del posto.


giovedì 28 giugno 2012

11 luglio 2012 ASSEMBLEA INTER CLUB KAYUNGA

Cara Socia/o,

quest’anno la nostra cara Inter non ha certo brillato. I problemi che hanno afflitto squadra e società sono stati purtroppo parecchi. Le uniche soddisfazioni i due derby.

Ma il nostro più grande dispiacere riguarda la situazione del calcio italiano in generale: scandali, scommesse, cifre esagerate, nonostante la crisi che tocca molti cittadini e le loro famiglie....

Come Club possiamo però essere orgogliosi per quanto di positivo abbiamo saputo ancora creare in ambito sociale e solidaristico.
Abbiamo contribuito all’iscrizione alla scuola di Ausiliario Socio Assistenziale di un nostro socio, cittadino ugandese, che era giunto a Como percorrendo l’Africa a piedi !
Abbiamo contribuito a sostenere le scuole coinvolte nell’Inter Campus Uganda, che, come in precedenza programmato, si è quest’anno esteso dalla scuola elementare di Naggalama anche al villaggio di Angal, e si estenderà probabilmente anche alla scuola elementare di Aber. E questo per la gioia dei bambini ugandesi e dei loro insegnanti.
Il nostro blog in internet è sempre alquanto frequentato, così come facebook. La newsletter dovreste riceverla regolarmente. Se così non fosse vi prego di segnalarlo.
Purtroppo non siamo riusciti ad organizzare un evento pubblico, come ci eravamo ripromessi. Ciò è stato dovuto soprattutto alla difficile disponibilità di persone di richiamo. Decideremo insieme durante l’assemblea il programma del prossimo anno.

Vi ringrazio tutti ed in particolare coloro che silenziosamente si attivano in prima persona, dedicando tempo e risorse al Club e agli amici ugandesi.

Per preparare le attività del prossimo anno vi invito calorosamente a partecipare alla prossima Assemblea che è convocata in data 11 luglio 2012 c/o Via Galvani 5 – Como (Albate-Trecallo) in prima convocazione alle ore 14.00 ed in seconda convocazione alle ore 18.30 e che avrà il seguente ordine del giorno:

1.Relazione del Presidente
2.Approvazione Consuntivo anno 2011-12
3.Rinnovo delle cariche associative
4.Attività 2012-13
5.Approvazione Preventivo anno 2012-13
6.Varie ed eventuali
Un caro saluto
Il Presidente
Italo Nessi

mercoledì 27 giugno 2012

La patria del pallone


Fonte: Mosaico dei giorni di Tonio Dell'Olio

Un cucchiaio di Pirlo o un tiro di potenza di Balotelli, un colpo di destrezza di Cassano o un gol di Di Natale bastano per far saltare di gioia decine di milioni di italiani che recuperano il sentimento dell’unità nazionale e l’identità italica. 
Basta davvero poco! 
E qualcuno obietterà che non è per niente poco. 
E se invece dico che questo basta per far dimenticare per novanta minuti la crisi in corso e, con i tempi supplementari, anche le amarezze della vita pubblica o politica del Paese, qualcun altro obietterà che non è giusto mischiare sport e politica. 
E se invece dico che i mondiali in Ucraina sono stati costruiti a colpi di compromessi fraudolenti e costosi tra le mafie locali e lo Stato e che in quel Paese c’è qualche problema di democrazia, qualcuno mi rimprovererà che sono un guastafeste. 
Se poi dico che anche quando seguiamo cross e parate mirabolanti, rigori al cardiopalma e finte da giocolieri non possiamo dimenticare gli scandali del calcio nostrano e mondiale... mi diranno che è un tema da mettere tra parentesi per non turbare le prestazioni dei calciatori. 
Ma io non me la sento di usare la mia voce e il mio respiro solo per gridare goal e che dobbiamo contemporaneamente continuare a gridare la denuncia di un mondo corrotto che si arricchisce illecitamente sulle spalle delle nostre passioni. Non lasciamoci incantare, silenziare, svuotare da “panem et circenses”. 

Abbiamo una testa che forse non sa colpire la palla per mandarla in rete, ma che almeno sa pensare.

lunedì 25 giugno 2012

Nord Uganda, la strage degli innocenti

Fonte: www.nigrizia.it


Almeno 3 mila le vittime dell’epidemia, 200 i morti. Non si hanno cure. Il sospetto è che la malattia sia connessa all’esposizione di prodotti chimici tossici o a cibo contaminato. Forse frutto di sperimentazioni illegali di vaccini.

È da alcuni anni ormai che una misteriosa malattia sta affliggendo la giovane popolazione del Nord Uganda, in particolare nei distretti di Gulu, Pajule e Kitgum. Misteriosa nel senso che la scienza biomedica non è ancora in grado di identificarne con certezza eziologia le modalità di trasmissione e, di conseguenza, le cure efficaci.

La chiamano nodding desease (dall'inglese to nod, cioè "ciondolare il capo" o "abbassare il mento sul petto", che è il gesto tipico della malattia). Colpisce i bambini, riducendoli a veri e propri "automi".

I medici non sanno spiegare di cosa si tratta. All'inizio, fu scambiata per una forma di epilessia. In realtà è una patologia sconosciuta che si manifesta nei bambini dai 5 ai 15 anni con convulsioni e veloci "ciondolamenti del capo" alla vista e all'odore del cibo.

Secondo stime del governo ugandese, 3.000 bambini del Nord Uganda ne sarebbero affetti. Dal 2010 i morti sarebbero 200 (o di stenti o per cause correlate quali annegamenti, suicidi, cadute nelle fiamme del focolare...).
La malattia fu osservata - e riconosciuta - la prima volta negli anni '60 in Sudan. Da lì si sarebbe estesa al Nord Uganda e alla Tanzania. Non c'è modo di curarla. Per ora, l'unica cosa che si può fare è quella di sottrarre dalla vista dei bambini alcuni cibi che procurerebbero la strana reazione.

Alcuni ricercatori hanno osservato una carenza di vitamina B6 nelle popolazioni in cui la malattia è prevalente e avrebbero ipotizzato una relazione con l'oncocercosi, detta anche cecità fluviale, causata da un parassita che si annida nelle acque stagnanti e che, secondo dati Organizzazione mondiale della sanità del 2007, avrebbe reso cieche oltre 3 milioni di persone.

Contattato da Nigrizia, il dottor Justin Ocaya, dell'ospedale di Pajule, incaricato distrettuale nella lotta contro la nuova epidemia, ci ha detto: «È vero: abbiamo una nuova grave epidemia che colpisce i bambini e causa convulsioni, ritardo mentale e uno strano ciondolamento del capo quando vedono cibo e acqua. Oltre 1.000 casi sono stati registrati nel distretto di Kitgum negli ultimi sei mesi. La morte è inevitabile. Non si hanno cure».

Suor Dorina Tadiello, medico e comboniana impegnata presso l'ospedale di Lacor (Gulu), spiega: «La situazione è molto, molto grave. Ci sono famiglie con 3 o 4 bambini colpiti. Quando i genitori devono recarsi nel campo, lasciano i figli a casa, ma non prima di averli legati con corde e catene a qualche palo, per evitare che si facciano del male».

La suora ha aggiunto: «C'è chi ha connesso la malattia all'esposizione di prodotti chimici tossici o a cibo contaminato. C'è stato anche chi ha ipotizzato che è il risultato di sperimentazioni illegali di vaccini. Si tratta soltanto di ipotesi. Se questa seconda fosse confermata, sarebbe una cosa gravissima».

Le popolazioni dei tre distretti ugandesi stanno affrontando da sole il dramma. Sono praticamente abbandonate a sé stesse, visto che il governo di Kampala non sa da che parte cominciare. Cresce la frustrazione tra le popolazioni che hanno poca voce in capitolo e scarsa capacità di rivolgersi ad autorità che potrebbero e dovrebbero aiutarle. In verità, suor Dorina riconosce che «il governo ha stanziato dei soldi perché i bambini colpiti possano essere ricoverati in strutture sanitarie. Ma non ci sono cure specifiche. Si è cominciato a somministrare ai colpiti pastiglie di sodio valproato, usato per trattare l'epilessia. Sembra che, dopo la somministrazione di questo farmaco, le convulsioni diminuiscano di numero e d'intensità. Ma siamo ancora in alto mare».

martedì 12 giugno 2012

Mahmoud Sarsak: storia di un calciatore a cui è impedito sognare

Mahmoud Sarsak ha 25 anni, è una giovane promessa del calcio palestinese. Dalla Striscia di Gaza, dove è cresciuto, cercava di raggiungere la Cisgiordania e la sua Nazionale per rincorrere un pallone e, insieme, il sogno di rappresentare il suo paese con il calcio. È stato arrestato nel giugno del 2009 e da 3 anni si trova in un carcere israeliano senza accuse ne’ processo. Dopo 81 giorni di sciopero della fame il suo sogno e la sua vita stanno per finire. 

di Cecilia Dalla Negra 

Il suo nome è Mahmoud Sarsak, e la sua storia è un paradigma. Ha 25 anni, è un calciatore della Nazionale Palestinese.
Una giovane promessa del calcio perché, giovanissimo, ha iniziato ad allenarsi in uno dei luoghi più disagiati del mondo: il campo profughi di Rafah, a sud di una Striscia di Gaza da anni sotto assedio, tra raid aerei, assedio, bombardamenti. 
Racconta il fratello Emad che Mahmoud avesse la stoffa per diventare un campione, e che il primo passo “verso il gol della sua vita” fosse quello di uscire dal ghetto di Gaza e raggiungere i suoi compagni di squadra in Cisgiordania.
La Nazionale Palestinese, primo importante traguardo verso il sogno di giocare in una squadra internazionale, per portare nel mondo quella Palestina non riconosciuta, per rappresentare il suo paese rincorrendo un pallone e, insieme, un ideale di giustizia e libertà. 
La sua storia è un paradigma, perché è quella di tanti ragazzi cresciuti a Gaza che resistono semplicemente continuando a esistere, cercando con ogni linguaggio possibile di raccontare la Palestina e difenderla da chi tenta di cancellarla. Indossando una maglia, magari, o sventolando una bandiera, simboli che almeno nel mondo dello sport dovrebbero poter trovare cittadinanza. 
Aveva la stoffa per essere un campione, e anche il fisico adeguato, 50 kg fa. Prima di passare dal carcere a cielo aperto di Gaza a quello, in cemento armato, di Ramleh, in Israele. 
Il 22 giugno 2009, con le sue valige, Mahmoud Sarsak si dirigeva al valico di Erez, unica porta che collega Gaza ai Territori Palestinesi Occupati, sigillata da Israele. Unico passaggio diretto possibile verso il suo sogno, che si è aperto per portarlo invece verso un’altra prigionia. 
Slegato da gruppi, partiti e fazioni politiche, credeva di non avere niente da temere da quei soldati che controllano il valico. Invece è stato arrestato, condotto del carcere di Ramleh dove, da allora, non è mai potuto uscire. 
Le accuse? Ignote. In 3 anni Mahmoud non le ha mai conosciute, e non ha mai affrontato nessun tipo di processo.
Se per i palestinesi della Cisgiordania è infatti in vigore il regime – illegale – della detenzione amministrativa, in base alla quale Israele può detenerli a tempo indeterminato senza accuse specifiche ne’ processo, per i cittadini di Gaza esiste un valido parallelo: è la “Unlawful Combatant Law” (Legge sui Combattenti Illegali), strumento che consente ad Israele di imprigionarli alle stesse condizioni. Tempo indeterminato, fine pena potenzialmente mai. 
Mahmoud, come molti altri prigionieri prima di lui, 81 giorni fa è entrato in sciopero della fame. Una protesta – l’unica possibile – che o sta uccidendo. E, con lui, il miraggio di una giovane promessa del calcio di poter inseguire il suo pallone e il suo sogno. 
Spiega il legale, Mohammed Jabarin, che il termine per il suo arresto è stabilito al 22 agosto prossimo. Ma non ci sono garanzie che le autorità israeliane non lo rinnovino di altri 6 mesi, come hanno sempre fatto nel corso di questi 3 anni. 
Con lui tanti altri, che solo il 14 maggio scorso avevano siglato un accordo – già ripetutamente violato da Israele – per il miglioramento delle condizioni cui sono sottoposti i prigionieri politici palestinesi. Anche Akram Rikhawi, con cui Mahmoud ha firmato l’appello al governo palestinese e alla comunità internazionale perché agiscano, e non aspettino “di vederci morire”. 
Il 5 giugno scorso alcuni attivisti francesi, in sostegno alla battaglia di Mahmoud, hanno simbolicamente occupato la sede della Federazione di calcio francese.
Come spesso accade, è stato risposto loro di andare a protestare in "altra sede". Un “passaggio palla” ben noto agli attivisti internazionali che si battono per i diritti del popolo palestinese, in una partita ad armi impari che vede sempre il più forte segnare. 
La storia di Mahmoud è un paradigma soprattutto perché non fa notizia. Se il club per il quale gioca fosse una squadra quotata, sostenuta da migliaia di tifosi; se Sarsak fosse una delle tante super-star calcistiche mondiali, se non fosse palestinese, se non fosse stato arrestato da Israele, la sua sarebbe una notizia da prima pagina.
Mahmoud è un giovane calciatore che sta giocando la partita della vita con uno sciopero della fame che lo ucciderà nel silenzio internazionale. Una promessa cui è stato vietato di segnare, di giocare, di sognare.