mercoledì 4 marzo 2009

PRIMAVERA UGANDESE


Nelle regioni settentrionali torna la speranza dopo la guerra e l’alluvione

Vent’anni di sanguinosi conflitti hanno martoriato le popolazioni del Nord Uganda, colpite di recente anche da devastanti inondazioni. Per loro, dopo tanto dolore, si apre (forse) una nuova stagione di pace

Un grande arcobaleno ha messo fine ai dieci giorni di piogge torrenziali che lo scorso settembre hanno sommerso d’acqua le regioni settentrionali dell’Uganda. Il bilancio dell’alluvione è stato pesante: decine di morti, 150 mila sfollati, mezzo milione di persone obbligate a dipendere dagli aiuti umanitari. L’ennesima terribile sciagura per le popolazioni Acholi, Lango e Teso. Gente povera e senza pace, costretta a subire vent’anni di violenze e saccheggi compiuti dall'esercito e dai ribelli del Lord's Resistance Army, protagonisti di un conflitto che ha fatto 100.000 vittime.
Ora il peggio sembra passato e quel grande arcobaleno, comparso sei mesi fa tra le nuvole del Northern ugandese, viene letto da molti come un presagio di pace e di speranza.
Il governo ha avviato a Juba, in Sud Sudan, un negoziato di pace con i capi dello Lra. Per la prima volta dall’avvio della guerra (1986), nello scorso novembre una delegazione dei ribelli ha raggiunto la capitale ugandese Kampala incontrando il presidente Yoweri Museveni. Obiettivo: trattare le condizioni per la cessazione definitiva delle ostilità.
Le autorità hanno offerto l’amnistia ai guerriglieri, tra le cui fila – affermano fonti governative - si starebbero già registrando molte diserzioni. Secondo il portavoce delle forze armate Felix Kulayigye, centinaia di miliziani, tra cui alcuni importanti comandanti, avrebbero accettato di deporre le armi. In realtà la situazione è ancora molto fluida e la tregua appesa ad un filo. Resta l’incognita rappresentata da una presunta rottura in seno al comando militare dell’Esercito di Resistenza del Signore, spaccatura provocata da alcuni irriducibili ufficiali che non paiono intenzionati a disarmare. Anche da parte governativa c’è chi non è disposto a trattare coi capi dei miliziani.
«I comandanti dello Lra hanno commesso atrocità indicibili e sono un forte ostacolo alla pace e alla stabilità. La comunità internazionale non deve dare loro alcun appoggio», ha dichiarato recentemente la signora Fatou Bensouda, vice-procuratore della Corte penale che ha il compito di giudicare i leader dei rivoltosi su cui pendono dei mandati di cattura internazionale per crimini di guerra. Durante il conflitto nel nord Uganda almeno 25 mila bambini sono stati strappati dalle loro famiglie e costretti dai ribelli a diventare piccoli soldati. Il diritto internazionale prevedrebbe punizioni esemplari per i responsabili di queste barbarie. Ma le maglie della giustizia – fa notare la stampa ugandese - potrebbero allentarsi in nome della riconciliazione e della pace. Lo ha fatto capire lo stesso presidente Museveni, che ha rinunciato ad accanirsi contro il capo dei ribelli Joseph Kony, ritirando un ultimatum per la sua resa che rischiava di riaccendere le ostilità. Museveni ha prorogato la tregua in corso fino a febbraio 2008. Allo stesso tempo ha lanciato un ambizioso piano di investimenti nel Nord del Paese per “il consolidamento della pace e la ripresa della vita sociale ed economica”. Un’impresa colossale. Vent’anni di guerra sono costati all’economia ugandese l’equivalente di 1,7 miliardi di dollari, 85 milioni l’anno, “quasi quanto gli aiuti allo sviluppo ricevuti dagli Stati Uniti”, ha calcolato il quotidiano indipendente ‘Daily Monitor’. Ancora oggi un milione e mezzo di persone sono costrette a vivere nei campi profughi. «La gente non si fida completamente del cessate-il-fuoco: le autorità devono garantire la stabilità con la collaborazione dei rivoltosi», ha ammonito Joaquim Chissano, ex-presidente del Mozambico, inviato dall’Onu in Uganda per dare nuovo impulso al negoziato in corso. «E’ giunta l’ora di archiviare definitivamente la ventennale guerra civile e pensare alla ricostruzione delle martoriate regioni settentrionali del Paese».
Il governo finanzierà con 600 milioni di dollari la realizzazione di strade, scuole, pozzi e ospedali. Senza dimenticare le famiglie devastate dalla guerra e dalle alluvioni. Tra i primi beneficiari degli aiuti - ha assicurato il primo ministro Apolo Nsibambi - ci saranno circa duemila persone residenti nei dintorni del capoluogo di Gulu che, a causa delle violenze del conflitto, sono stati mutilati e resi invalidi. Da Kampala giungono segnali importanti che certo non bastano a cancellare il dolore, ma seminano la speranza nella popolazione civile dopo decenni di abbandono. A conferma di ciò giungono le parole di monsignor John Baptist Odama, arcivescovo di Gulu: «La situazione sta progressivamente migliorando. La gente ora può muoversi liberamente, anche di notte. Giorno dopo giorno torna a vivere senza angosce, nell’attesa fiduciosa di un futuro migliore».

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