mercoledì 31 ottobre 2007

La lezione di Giacinto: giocare per vincere, ma con fair play

Pubblico un articolo scritto da Alice Corti recuperato dal sito lasestina.com
Mauro
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Un maestro di fair play. Dentro e fuori il campo da calcio. Giacinto Facchetti, classe 1942, era così. Per questo motivo, tra i tanti soprannomi che erano stati dati al terzino di fascia sinistra dell’Inter di Herrera c’era anche quello di “Gigante buono”.

Era alto, il “Facco”. E possente. Ed era anche un difensore. Però la sua carriera calcistica, a differenza di quella di molti altri colleghi, è stata segnata da una sola espulsione. Per proteste. Giacinto era uno che combatteva con educazione. Oggi, a sette mesi dalla scomparsa (il 4 settembre 2006, per un tumore), dopo essere stato bandiera dei nerazzurri dal 1961 al 1978 e poi anche presidente della stessa società di via Durini dal 2004 al 2006, tutti lo ricordano ancora come un campione gentiluomo. La sua figura è simbolo di quell’educazione che oggi si fatica a trovare sui campi da gioco.

Per discutere di etica sportiva nel ricordo di Facchetti, l’Inter Club Kayunga ha organizzato ieri sera al cinema Gloria di Rebbio – Como una serata dal titolo “Un calcio senza etica è un calcio allo sport”. Sono intervenuti il figlio Gianfelice Facchetti, Sandro Mazzola, Bedi Moratti, don Leonardo Butti (cappellano dell’Inter di Herrera), Francesco Corrado (presidente della pallacanestro Cantù ed ex curatore fallimentare del Calcio Como) e Italo Nessi (medico e presidente del club Kayunga). Moderatore, il cronista sportivo della Rai Marco Civoli.

L’assenza di etica, purtroppo, in questo momento si ritrova sia tra i professionisti di quotate formazioni, sia tra i ragazzini che si avvicinano allo sport. Francesco Corrado e don Leonardo Butti, infatti, hanno raccontato come l’istigazione all’antisportività influisca negativamente sulla formazione dei giovani: «è capitato spesso di vedere allenatori che non danno fiducia ai ragazzi» hanno detto, «e di assistere a genitori che criticano i figli, pretendendo da loro sempre il massimo senza pensare all’importanza dell’impegno e della correttezza. ma in questo modo i giovani non reagiscono sportivamente, e si avvicinano anche loro alla violenza». Secondo Sandro Mazzola si è «usciti da una generazione che ha insegnato molte cose». E’ necessaria, quindi, «una base da dove partire per ritornare a un gioco pulito. Una base seria ed etica da offrire ai più piccoli, alla generazione che verrà. Partendo da famiglia, scuola e società sportive».Il calcio, inoltre, può essere interpretato come metafora di tutti i giorni. «Non si può eliminarlo dalla vita quotidiana: sul campo non si ha tempo per pensare, si agisce come si è», ha aggiunto Mazzola. E’ stata questa l’opinione di tutti i presenti, che hanno concordato sull’importanza di un profilo etico per la crescita – sportiva e umana — dei giovani.

Il ricordo va ancora a Giacinto Facchetti, un uomo che voleva vincere senza lasciarsi tentare dall’antisportività.

Sono sue queste parole: «Ho sempre giocato per vincere. Anche da ragazzo, quando si giocava per strada, si giocava per vincere. Non ho mai capito come si possa giocare e non cercare di vincere. Se non ci riesci, va bene, l’importante è sapere che hai fatto tutto il possibile».

Immagini da elmundo.es, futbol.dk e biografie.leonardo.it

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