lunedì 15 ottobre 2012

SCHIAVI DEL CALCIO, QUANDO IL SOGNO DIVENTA INCUBO


Una domenica senza calcio di serie A può essere l’occasione per approfondire argomenti di cui in genere si parla poco o quasi mai. Come, per esempio, di ciò che succede ogni anno in Africa.
Li chiamano i “nuovi schiavi del calcio”, un esercito la cui stima approssimativa parla di ventimila unità, reclutati tra giovani minorenni provenienti dall’Africa. Ragazzini con il mito dei calciatori di successo come Eto’o, Drogba o Weah, ai quali viene prospettato un futuro roseo.
Ma dietro la gloriosa facciata di questi rari fuoriclasse del calcio si cela un mondo completamente diverso. Documenti falsificati e dati anagrafici modificati per aumentare l’età di un ragazzo troppo giovane. Famiglie che si indebitano sino al punto di vendere la propria casa per avvicinare i propri figli agli osservatori e magari anticipare i costi di un viaggio in Europa per un provino. Procuratori senza scrupoli che non si fanno problemi a scomparire quando questi aspiranti calciatori non riescono a superare la prova. Giovani abbandonati in un Paese sconosciuto, senza i soldi né la forza di tornare a casa ed ammettere il proprio fallimento, ad una famiglia che ha impiegato tutti i suoi risparmi per quella occasione.
Ragazzi che piuttosto che tornare indietro scelgono di restare in Europa, anche a costo di vendere borse per strada o spacciare droga per racimolare soldi e tentare di risanare il debito dei loro genitori. Clandestini giunti nel continente europeo con finti contratti di lavoro costruiti ad hoc per aggirare le leggi.
Una delle mete più sensibili è la Francia. Ne arrivano migliaia ogni anno. L’associazione Culture Football Solidaire in un’indagine di qualche anno fa ha censito fra le strade di Parigi 800 ragazzi africani diventati solo ex calciatori. Ma molti finiscono anche altrove, Italia, Germania, Spagna, Paesi dell’Est, dove diventano manodopera per la criminalità organizzata.
Spesso dietro queste operazioni ci sono agenti abusivi o loschi intermediari il cui obiettivo è lucrare sulla crescente richiesta dei campionati professionistici europei, ma in più di un’occasione si sono registrati anche trasferimenti di minorenni ad opera di procuratori internazionali di indubbia fama, con giovani venduti dietro un compenso di decine di migliaia di euro.

La compravendita dei calciatori minorenni è vietata dall’articolo 19 del Regolamento Fifa sullo Status e sul Trasferimento dei giocatori, che recita: “I trasferimenti internazionali dei calciatori sono consentiti solo se il calciatore ha superato il 18° anno di età”. Sono previste, però, delle eccezioni: il trasferimento di un giocatore di 16 anni è consentito all’interno dell’UE o dell’ AEE, per via della sentenza Bosman (che liberalizza il mercato del calcio europeo); se i genitori del ragazzo si sono trasferiti nel Paese della nuova società per motivi indipendenti dal calcio; se è in essere un accordo di collaborazione tra accademie giovanili dei due club (con adeguato alloggio, mantenimento e istruzione). E su queste eccezioni s’innestano i sedicenti procuratori. Falsificano i documenti dei ragazzi, oppure fabbricano falsi attestati in cui risulta che i genitori lavorano in Europa. E per la Fifa è impossibile controllare tutto, specie se i ragazzi giocano in squadre amatoriali, e non riconosciute.
L’unica forma di contrastare questo schiavismo è sul campo. Così dovrebbe fare anche la Fifa, ma le risorse che dedica alla prevenzione di questo fenomeno sono minime. Con il business del calcio che si diffonde verso nuove frontiere, il problema è destinato a rimanere e a crescere.

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