lunedì 23 agosto 2010

Ricordando Meazza: quando il calcio si fa epico


Fonte: Inter.it


MILANO - Prendete il genio di Sneijder, la potenza di Stankovic, il senso del gol di Milito, il dribbling di Eto'o, lo spirito di Zanetti, mischiateli bene in un unico giocatore, ma qualche ingrediente mancherà sempre per costruire un altro Giuseppe Meazza. Forse la magia di un tempo in cui c'era meno tv e più fantasia, il tempo in cui i cronisti sapevano fare anche i poeti e per raccontare Pepin quasi facevano ricorso ai versi e il calcio diventava epica.

"Grandi giocatori esistevano al mondo, magari più tosti e continui di lui, però non pareva a noi che si potesse andar oltre le sue invenzioni improvvise, gli scatti geniali, i dribbling perentori e tuttavia mai irridenti, le fughe solitarie verso la sua smarrita vittima di sempre, il portiere avversario", così scriveva Gianni Brera di Meazza, calciatore per vent'anni, con la Guerra di mezzo: dal 1927, quando diciassettenne esordì nell'Inter, fino al 1947, quando - sempre nell'Inter - terminò la sua carriera, dopo aver militato pure nel Milan e nella Juventus, anche se per brevi comparsate. Non se ne abbiano a male gli altri, Pepin Meazza rimane una leggenda nerazzurra (oltre che azzurra, ma quella è un'altra magnifica storia), che all'Inter ha dato il meglio di sé, anche dopo aver smesso di terrorizzare i portieri avversari. Al di là dell'esperienza da allenatore, è da talent scout che Meazza regala all'Inter gioielli preziosi quanto i suoi gol (sono 288 in totale con la maglia nerazzurra): fra le sue scoperte nel settore giovanile nerazzurro spicca Sandro Mazzola, ma sono tanti i ragazzi di cui lui riesce ad annusare il talento e lanciare in prima squadra. Sempre ricordandosi della sua storia, dei suoi quattordici anni, che lo vedono vestire per la prima volta la maglia dell'Inter nella squadra "ragazzi", e di Fulvio Bernardini che lo segnala all'allenatore della prima squadra per il suo incredibile talento.

Arpad Weisz cederà due anni dopo alle insistenze di Bernardini, aggregandolo ai "grandi" a sedici anni e facendolo esordire a diciassette. Fu lì che nacque il suo soprannome, Balilla. I compagni che lo videro fra i titolari della "Coppa Volta" ironizzarono: "Ora facciamo giocare pure i Balilla!" (ragazzi dagli 8 ai 14 anni organizzati dal fascio). È l'ultima volta che Meazza suscita ilarità fra compagni o avversari, perché già in quella gara d'esordio piazza una tripletta spettacolare e, di fatto, non si ferma più.

Devastante in fase offensiva, è solito partire da dietro. Il ruolo è quello di attaccante in senso generico, anche perché tradurre tatticamente il calcio di allora è sempre un po' complicato: un po' Vieri, un po' Totti, dicono alcuni, comunque micidiale, dicono tutti. Anche gli stranieri che impararono a conoscerlo e temerlo fin da subito, perché anche con la maglia azzurra Pepin ha scritto la Storia. Vince due mondiale consecutivi, nel 1934 e nel 1938, sempre da trascinatore della squadra. Ma vince anche due "Coppe Internazionali", competizione che ora ci dice poco ma che aveva una sua importanza e segna la prima vittoria italiana in Ungheria, una vera impresa in quegli anni.

Anche se l'Impresa, quella memorabile, è una... sconfitta. Ma subita contro l'Inghilterra dei maestri, nazionale imbattibile all'epoca, soprattutto quando giocava in casa. E il 14 novembre del 1934 si gioca proprio a Londra, nel leggendario stadio di Highbury, dove giocava l'Arsenal. L'Italia, fresca campione del mondo, perde dopo due minuti Luisito Monti, il fenomenale oriundo. Senza sostituzioni (allora non previste) deve giocare in dieci e va sotto di tre gol nel giro di poco. Ma, a quel punto l'orgoglio azzurro, trascinato da Meazza, compie il miracolo: Pepin segna due gol e alla fine prende pure una traversa che sarebbe stato il pareggio. Finisce 3-2, ma gli inglesi si inchinano all'eroismo e alla classe degli italiani (ribattezzati poi dalla cronaca "I leoni di Highbury"). Eccolo qui Meazza, così fenomeno da essere magnifico anche nelle sconfitte.

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