venerdì 29 febbraio 2008
martedì 26 febbraio 2008
Uganda, la strada è in salita
Nuovo stop ai colloqui di pace tra governo e ribelli
Anche per questo la decisione dei ribelli è giunta inaspettata. Secondo quanto riferito da entrambe le parti, il Lra avrebbe chiesto l'inclusione di alcuni suoi uomini nel governo e nell'amministrazione, oltre che la protezione e il rimpatrio gratuito per i vertici del gruppo in esilio. Richieste che il governo non intende accettare perché contrarie alla Costituzione, e perché le stesse autorità non avrebbero alcun diritto di concedere quei posti senza che gli elettori vengano consultati. Una posizione che ha fatto arrabbiare la delegazione del Lra, la quale sostiene di avere in mano un documento, siglato assieme al governo ugandese lo scorso anno, che promette ai ribelli il power-sharing nell'esecutivo e nell'esercito. Il Lra si è appellato ai mediatori sudanesi, annunciando che non farà ritorno al tavolo delle trattative finché la questione non verrà risolta. Secondo la delegazione governativa, inoltre, i ribelli avrebbero chiesto degli indennizzi in denaro per la loro partecipazione ai colloqui. Il portavoce del Lra ha però smentito la notizia. Non è la prima volta che i ribelli decidono di abbandonare temporaneamente i colloqui, anzi, è successo spesso dall'inizio delle trattative, avviate a metà 2006. Recentemente, il governo ugandese aveva dato tempo fino a fine febbraio per arrivare a un accordo di pace, in caso contrario avrebbe ripreso le attività militari. |
lunedì 25 febbraio 2008
Video: Sampdoria - Inter 1-1
Fonte: CalcioBlog
Eccovi le minisintesi delle due gare che hanno parzialmente ridisegnato il vertice della classifica, naturalmente si tratta di quelle di Inter e Roma. I nerazzurri reduci dallo choc di Liverpool erano attesi al varco in campionato, ma gli avversari di questa domenica non erano esattamente i più teneri da affrontare. La Sampdoria di un Cassano in costante crescita, punto di riferimento del gioco e a tratti incontenibile, mette in grande difficoltà i nerazzurri e nel secondo tempo si porta in vantaggio proprio con il fenomeno di Bari vecchia. L’Inter non schiera nè Ibrahimovic nè Cruz, ci pensa Hernan Crespo a piazzare il colpo di testa che vale il pareggio. 2 punti persi o 1 guadagnato per Mancini? Difficile dirlo, quello che è certo è che prima dello scontro diretto con la Roma sarà necessario un chiarimento con Vieira, scuro in volto e nervoso al momento della sostituzione.
giovedì 21 febbraio 2008
Non mollare
lo so che questa mattina vi siete svegliati male. Qualcuno di noi ha pure fatto finta di niente, nel tentativo di non acuire il dolore.
Tuttavia sappiamo anche che i conti si fanno alla fine, la speranza è l'ultima a morire e il gatto non lo si può nominare finché non sta nel sacco (G.T.).
Insomma, coraggio!
Per incrementare la speranza vi rimando ad una lettura edificante (quando si dice la Buona stampa).
Forse oggi non ve la sentite, ma domani o dopo o dopo leggete quanto segue.
Ora e sempre, forza Inter.
Mimmo Arnaboldi
I santi marciano su Anfield
Ottavi di finale di Champions league, l'Inter torna nella tana del Liverpool 43 anni dopo una sfida entrata nella leggenda
Matteo Lunardini
Una squadra di calcio è un susseguirsi regolare di partite che il tifoso sente sulla pelle come tanti anelli di una catena. Alcuni anelli di questa catena fanno male, sono spine conficcate nella carne. Altri invece, evocando ricordi indelebili, sono simbolo di storia e identità. Per questo, quando la Uefa ha estratto l'abbinamento degli ottavi di Champions League contro il Liverpool (questa sera in campo ad Anfield Road), molti tifosi dell'Inter hanno avuto un deja vu. Uno degli anelli più scintillanti della catena nerazzurra reca una data, 12 maggio 1965, e tre firme: Corso, Peirò, Facchetti. È una semifinale di Coppa Campioni tanto celebre da venire considerata uno spartiacque generazionale: chi ha avuto la fortuna di essere uno dei novantamila presenti all'incontro ne ha per sempre tramandato le gesta; chi invece è nato dopo, per tutta la vita si è sentito dire: Moratti-Herrera, è questa l'Inter vera.
Era il biennio 64-66. La squadra del petroliere Angelo Moratti stava scrivendo una storia che l'avrebbe portata a divenire «la Grande Inter». La sua formazione, immutata per dieci/undicesimi nell'arco di anni, era conosciuta da tutti in Italia, tanto che Nanni Moretti, in Ecce Bombo, l'avrebbe fatta recitare ai maturandi al posto dei presidenti della Repubblica. Artefice della magia, l'allenatore Helenio Herrera, personaggio innovativo e tracotante, istrionico e neologista, amato e odiato in ugual misura. Durante la partita di andata, aveva dato sfoggio della sua pazzia. Recatosi a Liverpool con lo stesso piglio con cui D'annunzio era andato a Fiume, ad Anfield aveva perso 3 a 1 e come il vate era tornato in patria cornuto e mazziato. Il portiere Sarti aveva compiuto miracoli e alla fine gli altoparlanti dello stadio avevano diffuso le note di When The Saints Go Marchin' In in segno di scherno. Il presidente dell'Inter di oggi Massimo Moratti, che allora ventenne fu inviato dal padre a Liverpool, ha ricordato come un incubo quell'esperienza: «Ci spaventammo perché la squadra non aveva assolutamente risposto sul campo. Era come bloccata, impaurita. Il loro pubblico era stato incredibile. Sugli spalti cantavano delle canzoni contro il fascismo, come se l'Italia fosse appena uscita da quel periodo».
Davvero altri tempi, quelli. La Cina faceva esplodere l'atomica mettendo in scacco il sistema bipolare. In Italia Aldo Moro presiedeva un governo sostenuto da Dc, Psi, Psdi e Pri. E Milano, da sempre laboratorio politico non solo del Belpaese, veleggiava sull'onda lunga di un boom economico che si sarebbe presto infranto sugli scogli degli anni Settanta. A palazzo Marino il centrosinistra cominciava a mostrare le sue contraddizioni: il sindaco Bucalossi aveva vacillato sul prezzo del biglietto del tram, aumentato, dopo una lunga notte di consiglio, a settanta lire. Il prezzo della partita, invece, oscillava tra le millecinquecento e le tremila. Ma Herrera - che dava molta importanza al pubblico, tanto da aver per primo introdotto in Italia il tifo organizzato - aveva solleticato il protagonismo dei tifosi in una sorta di chiamata alle armi. I cori di Anfield erano stati letti in chiave anti-italiana e il sold out era stato possibile anche grazie a molti non interisti. In città si sentiva il fremito storico della grande impresa. E impresa fu: l'Inter ribaltò il risultato (3-0) e si qualificò per la finale.
Nel racconto dei presenti il protagonista dell'incontro fu uno solo: la folla. In 90mila avevano concorso all'impresa. «Piedigrotta a Milano» scrisse Gino Palumbo sul Corriere della Sera: «Tutti i suoi tifosi si sono mobilitati sugli spalti. Le bandiere e gli striscioni stavolta non bastano. Non bastano le trombe, né le sirene. Ci vuole Piedigrotta: i fuochi d'artificio, le granate, le girandole, Milano si ispira a Napoli, la supera. È il Maracanà». E la Gazzetta dello Sport, che titolava «Al Liverpool 3 reti dell'Inter e della folla», scriveva, a firma di Emilio Violanti «San Siro, al 90', tra il Vietnam e il Carnevale di Rio: mortaretti, trombe, campane, sirene, uno stadio in preda alla follia pura». Uguale registro sulla stampa inglese, che puntò il dito «sull'azione corale del pubblico», montato ad arte e artificialmente preparato, diverso dal pubblico britannico, più spontaneista e anarchico. Scrisse il Daily Express: «Per cacofonia collettiva e micidiale furore di vittoria, gli strepiti, le bombe, le trombe e i clacson di questi novantamila non hanno nulla da invidiare alla conclamata inortodossia sonora di Anfield». Mentre il corrispondente del Daily Mirror - costretto a scrivere nel frastuono dei petardi - titolerà, in italiano: «Nell'inferno di Dante».
Pochi anni dopo così gli autori descrissero i tre gol. All'8' ci fu la famosa foglia morta di Corso: «Il loro portiere non poteva immaginare uno scherzo del genere. Si aspettava una bomba, povero cocco, non mi conosceva. Ma non esagero se dico che quella partita metà la vinse la folla. Il Liverpool aveva di fronte uno stadio intero». Un minuto dopo, il gol satanico - definizione del Times - di Peirò: «L'azione era scaturita da un tiro da lontano, che il portiere era riuscito a intercettare mentre io ero caduto. Da terra seguivo le mosse del portiere: lo vedevo far rimbalzare la palla. Improvvisamente ebbi la sensazione di potergliela soffiare: mi alzai di scatto e lo raggiunsi praticamente in un sol balzo. Appunto su un rimbalzo riuscii a rubargli la sfera che scaraventai in rete. Non si era mai vista una cosa del genere: ho ancora nelle orecchie il clamore della folla». Infine, al 62', il gol perfetto di Facchetti: «Ci fu uno scambio nella nostra metà campo tra Bedin e Corso. Io partii come un razzo. Corso mi allungò la palla. La mia volata era accompagnata dal boato della folla. Capii subito che avrei segnato. Mi avventai sul pallone e arrivato all'altezza del limite dell'area feci partire una fucilata di collo destro. Il portiere non vide nemmeno la palla». Giacinto Facchetti aveva abbandonato la sua posizione di terzino sinistro puntando il centro dell'area avversaria, mentre i compagni, nel mezzo del campo, avevano disegnato un arabesco di passaggi che si sarebbe concretizzato con l'assist proprio per lui. Tutti i novantamila tifosi e i dieci compagni sapevano che lui, il grattacielo di Treviglio, da lombardo disciplinato e di poche parole qual era, non avrebbe fallito l'appuntamento. E non perché aveva da battere un portiere, segnare un gol o scrivere per sempre la storia della Beneamata. Ma perché lui era così: sincero, onesto, affidabile.
Quello che successe a fine partita è leggenda. I 22 protagonisti tornarono negli spogliatoi nel tripudio collettivo, mentre gli altoparlanti di San Siro diffondevano un disco che Mazzola aveva consegnato personalmente allo speaker dello stadio (e che non avrebbe mai più rivisto indietro): Louis Armstrong cantava When The Saints Go Marchin' In. Così la vendetta fu servita alla perfida Albione. La retorica dei giornali e del mago avevano sortito l'effetto sperato. Per la prima volta la massa era stata elevata a protagonista al pari di giocatori e società. Da quel giorno il gioco herreriano della «chiamata alle armi» sarebbe stato replicato molte volte, finché, arrivati a ieri, i costi di quella euforia non sarebbero diventati troppo alti. Non solo per il buon nome del calcio italiano, ma anche per la quiete pubblica borghese. Allora sarebbero arrivate le leggi speciali.
(il manifesto, 19 febbraio 2008, pagina 16)
mercoledì 20 febbraio 2008
Julio Cesar: "Tifosi, rimontiamo insieme"
LIVERPOOL - "Da quando sono arrivato all'Inter ho visto tante volte questa squadra ribaltare i risultati, ricordo per esempio la rimonta sulla Roma nella finale della Supercoppa italiana, da 0-3 a 4-3. Credo che, con l'aiuto dei nostri tifosi, possiamo mettere subito pressione agli inglesi e farcela. Sarà dura, ma non è ancora finita". È una convocazione ufficiale per martedì 11 marzo 2008: tutti al "Meazza", per cercare e volere l'impresa.
Julio Cesar si racconta ai microfoni di Mediaset. "Era difficile, in dieci contro undici, resistere in casa del Liverpool. Ci siamo riusciti sino a cinque minuti dalla fine e siamo stati anche sfortunati. Nel primo gol, se non ci fosse stata quella deviazione di Maicon, la palla mi sarebbe arrivata tra le mani, invece si è alzata ed è diventata velocissima, a quel punto non potevo fare più nulla. Sul secondo gol, invece, oltre a fare i complimento a Gerrard, devo dire che sono stato un po' fregato da Chivu, che mi ha coperto un po' la visuale. Ne ho parlato anche con lui alla fine, ma se Cristian non avesse fatto quel movimento in scivolata togliendo alla fine il piede, probabilmente sarebbe arrivata una seconda autorete... Peccato, perché, in dieci, avevamo fatto quasi una partita perfetta. Loro avevano gestito bene la palla, ma avevano avuto una sola occasione, con Torres. Purtroppo quella prima palla deviata dal mio amico Maicon ha cambiato tutta la storia di una gara che, altrimenti, sarebbe finita in parità".
"Le ammonizioni di Materazzi? Sul primo giallo, Torres si butta, il giallo non era meritato e anche il secondo è stato esagerato. Ora Marco è triste, lo capisco. Ma ci rifaremo insieme. Come è già successo altre volte", chiude Julio Cesar.
Champions League: la Roma batte il Real Madrid, l’Inter in 10 crolla a Liverpool
Risultati inaspettati nelle prime partite di andata degli ottavi di Champions League. La Roma, sfavorita e sotto di un gol nei primi minuti, rimonta e vince per 2-1 contro il Real Madrid. Il risultato non dà certezze in vista della partita di ritorno al Bernabeu, ma fa morale per come è arrivato e per il gioco mostrato dai ragazzi di Spalletti. L’Inter, al contrario, si ritrova in dieci uomini dopo mezzora, resiste fino all’84′ per poi perdere 2-0 con reti di Kuyt e Gerrard.
All’Olimpico, il primo tempo è tutto del Real Madrid. Nei primi 10 minuti gli uomini di Schuster passano in vantaggio e compiono l’errore di non chiudere la partita: subito dopo l’errore di Raul, che avrebbe portato al gol dello 0-2, la Roma pareggia: dopo un contropiede di Mancini, la palla arriva a Pizarro che, solo in mezzo all’area, scaraventa in porta per l’1-1. Nella ripresa la Roma sente di potercela fare, e spinge alla ricerca del vantaggio. Il gol arriva dopo una splendida azione di Totti, che parte da metà campo e verticalizza per Mancini: il brasiliano dribbla Casillas e deposita il pallone in porta per il definitivo 2-1. Il Real Madrid a questo punto si sbilancia, alla ricerca del pareggio, e colpisce anche un palo con Van Nilstelrooy. La Roma però tiene, e porta a casa un’ottima vittoria in vista del ritorno al Bernabeu.
martedì 19 febbraio 2008
GuardiamoLiverpool-Inter insieme
lunedì 18 febbraio 2008
CON IL PIGLIO DELLA GRANDE SQUADRA.



Dal sito Nerazzurro.it
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C'è un confine ben definito tra una buona squadra e una grande per davvero, ed è la dimostrazione di forza che si può dare quasi senza sforzo.
Questo confine è stato da noi ieri raggiunto e superato con una prestazione degna di uno spot per il calcio. C'è da vincere una partita comunque importante? C'è da risparmiare importantissime energie psicofisiche in vista della Champions League? Bene, venti minuti di grande calcio, veloce, tecnico, ragionato e pieno di furia agonistica… e livorno a casa. Il resto è un controllo quasi surreale della partita, in cui gli avversari, quasi più per forza d'inerzia che per convinzione, riescono a creare sporadici pericoli.
E' così che funzionano le squadre davvero grandi, quante volte l'abbiamo visto anche a spese nostre?
E così, nel giorno in cui la rometta torna ad esserlo a pieno titolo, voliamo a + 11 in classifica, un margine enorme e (inutile negare l'evidenza) praticamente incolmabile.
Tutti a dire: turnover per risparmiare energie. Bene, e turnover sia… ma cosa cambia? Credo che la "seconda" squadra dell'Inter, probabilmente sarebbe seconda in classifica, senza considerare che è proprio in partite come questa, dove più della tecnica vera e propria, conta la voglia e la determinazione, schierare i titolari, non solo li mette a rischio d'infortuni e surplus di fatica, ma, essendo quelli logicamente concentratissimi sulla CL, anche a figuracce.
Voglio dire: gente come Burdisso, Pelè, Suazo e Crespo, non essendo titolari, al momento, non è logico che giochino alla morte anche una partita meno importante di quella di ieri?
E qui sta la vera grandezza di Roberto Mancini (ed è davvero inspiegabile che si continui a criticarlo) quella di dare le stesse identiche motivazioni a chiunque indossi la nostra maglia e scenda in campo. Un'immagine colta dalle telecamere, ieri, spiega più di mille parole lo stato dello spogliatoio dell'Inter, che poi è il termometro dell'intero ambiente: durante la partita, a bordocampo, Rivas (22 anni, colombiano, da pochi mesi all'Inter) poggiato con un braccio sulla schiena di Ibra, mentre Cruz, dietro di lui, gli batte le mani sulle spalle, in un gesto amichevole.
Ora sotto con il liverpool, sotto con l'obbiettivo primario. Concentrati e, esattamente come ieri, con il piglio autoritario della grande squadra. Ci vuole una vittoria, subito a chiarire a tutti chi siamo, anche in Europa. Tornano i big, gli si chiede la stessa forza e concentrazione dei ragazzi che ieri, in venti minuti, hanno distrutto il livorno.
Chiusura d'obbligo sulla nostra magnifica Primavera che con un vero fenomeno al centro dell'attacco, vince il Viareggio. Per molti di loro, probabilmente, sarà l'apice della carriera, per altri sarà l'inizio di una scalata, me per uno è la consacrazione: Mario Balotelli, il nostro futuro.
sabato 16 febbraio 2008
Inter Chiavenna TV

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martedì 12 febbraio 2008
Materazzi in campo, Catania ricorre contro Inter
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L'amministratore delegato Lo Monaco: 'Non avrebbe dovuto giocare'
Il Catania ha preannunciato ricorso per la partita persa domenica sera contro l'Inter. La societa' siciliana sostiene che Marco Materazzi non avrebbe potuto essere schierato dai nerazzurri in base all'Articolo 76, comma 3, delle Noif secondo cui 'i calciatori che, denunciando un impedimento per infortunio, o comunque, per una infermita' non rispondono alla convocazione per l'attivita' di una squadra nazionale, di una rappresentativa di Lega e di rappresentative dei comitati in occasione di manifestazioni ufficiali, sono automaticamente inibiti a prendere parte, con la squadra della societa' di appartenenza, alla gara ufficiale immediatamente successiva alla data della convocazione alla quale non hanno risposto'.
Materazzi era stato convocato da Donadoni per l'amichevole degli azzurri di mercoledì scorso a Zurigo contro il Portogallo. Il difensore dell'Inter si era presentato in ritiro lunedi', ma e' stato congedato dall'impegno in azzurro il giorno successivo dopo che i medici della Nazionale hanno appurato il dolore alla schiena del difensore.
L'amministratore delegato del Catania Pietro Lo Monaco ha quindi presentato reclamo. Da parte sua il Giudice sportivo Gianpaolo Tosel, preso atto dell'azione del club etneo, si è riservato di decidere alla trasmissione delle motivazioni.
lunedì 11 febbraio 2008
domenica 10 febbraio 2008
Il tragico mito mancuniano
Nel caso del Manchester United non tutti perirono tra le lamiere contorte del volo BE 609 della British European Airways di ritorno da Belgrado, dove i Diavoli Rossi pareggiando 3-3 con la Stella Rossa si erano assicurati il passaggio alle semifinali della Coppa dei Campioni. Tra i sopravvissuti ci fu Bobby Charlton, forse il miglior giocatore inglese di sempre, che nella sua recente autobiografia ha ricordato come da 50 anni faccia una fatica incredibile a convivere con il peso di quella sciagura. Il campione del mondo del 1966 parla addirittura di rimorso, lo stesso sentimento provato da Busby, tormentato dalla perdita dei suoi bimbi prodigio. Il leggendario allenatore scozzese ce la fece per miracolo. Un paio di volte ricevette l'estrema unzione, vista la gravità delle sue ferite. Ma le cicatrici della mente non guarirono mai neppure per lui.
La lista dei caduti, purtroppo, fu molto lunga. Tra le 23 vittime si contarono otto giornalisti, compreso l'ex portiere del Manchester City e della nazionale inglese Franck Swift, tre mebri dello staff dello United e otto babes. Persero la vita Roger Byrne, il capitano e per tanti il possibile successore di Busby, la sua riserva, Goeff Bent, portato a Belgrado per precauzione visto che Byrne era leggermente infortunato, i nazionali inglesi David Pegg e Tommy Taylor - quest'ultimo secondo alcuni «tecnicamente» non era un vero e proprio membro dei Babes, poiché fu acquistato dal Barnsley e non cresciuto nelle giovanili, ma a Busby, come a tutti gli allenatori del mondo, faceva comodo un attaccante molto prolifico come lui. E ancora l'irlandese trapiantato nel Lancashire Liam «Billy» Whelan, Mark Jones, roccioso centrocampista e abile allevatore di pappagallini e il talentuoso Eddie Colman, appena ventunenne ma già idolo indiscusso dei tifosi. Colman proveniva dal quartiere proletario di Salford, poi usato come modello per la decennale soap britannica Coronation Street.
Dopo 15 giorni di sofferenze indicibili si spense anche Duncan Edwards, un ragazzone delle Midlands che aveva le stimmate del predestinato. Uno che per doti tecniche, velocità e sagacia tattica era già un fenomeno a 15 anni, come affermò anni dopo Busby. Chi lo ha visto giocare non ha dubbi, avrebbe offuscato la stella di Bobby Moore, il capitano dei bianchi d'Inghilterra che nell'edizione casalinga del mondiale '66 ricevette la Coppa Rimet dalle mani della regina. Tra chi lo ha ammirato c'è anche Terry Venables, un predecessore di Fabio Capello sulla panchina inglese. El Tel, come lo chiamano oltre Manica, ebbe la fortuna di essere presente all'ultima partita dei Busby Babes sul suolo inglese, un incredibile 5-4 rifilato all'Arsenal nel vecchio Highbury, che sembra quasi il testamento calcistico di quel team di bambini terribili. Edwards morì a soli 21 anni. All'epoca era il giocatore più giovane ad aver mai vestito la maglia con i tre leoni sul petto - collezionò in tutto 18 presenze. Dopo la scomparsa del figlio, suo padre Gladstone lasciò il posto in una fonderia per diventare il giardiniere del cimitero della cittadina di Dudley, dove riposavano le spoglie di Duncan. Così da potergli stare sempre vicino.
Il dramma del Manchester United fu uno degli eventi che in quegli anni colpirono di più il popolo inglese, che pian piano si stava tirando fuori dalle fatiche e dagli stenti del secondo dopoguerra. Il giorno della tragedia la Bbc interruppe la programmazione per dare la notizia e tutte le prime pagine dei giornali aprirono con i fatti di Monaco. Sul Manchester Evening News accanto ai pezzi sull'incidente c'era la rubrica siglata da Byrne, in cui il capitano si augurava di incontrare il Real Madrid in semifinale, così da potersi prendere la rivincita per l'eliminazione subita la stagione precedente. Un sogno svanito tra i cumuli di neve del sud della Germania.
Quel team già così ampiamente decimato perse per sempre, ma solo sul campo, anche Johnny Berry e Jackie Blanchflower, fratello della leggenda del Tottenham degli anni sessanta Danny. Le menomazioni fisiche sostenute impedirono ai due di continuare a giocare. Il club non si dannò certo l'anima per aiutarli - come d'altronde non sostenne economicamente i parenti delle vittime. Anzi, una volta presa la decisione di appendere le scarpe al chiodo gli intimò di lasciare le abitazioni messe a disposizione. Visti i tempi, nulla di troppo eclatante. Allora il potere contrattuale dei calciatori era molto basso, mentre a causa di draconiani limiti salariali i loro guadagni erano in media - se si escludono i premi - addirittura di poco inferiori a quelli di un operaio qualificato. Insomma, le società facevano il bello e cattivo tempo, come si accorsero sulla loro pelle Berry e Blanchflower.
Busby fu quindi chiamato a ricostruire la squadra quasi da capo, a cercare altri giovani talenti. Compito che ancora una volta il placido scozzese seppe assolvere con grande abilità. Nel 1963 arrivò la vittoria in Coppa d'Inghilterra, seguita da due trionfi in campionato nel 1965 e nel 1967. Ma il successo più bello fu quello in Coppa dei Campioni, nella finale di Wembley del 30 maggio 1968, dieci anni dopo la terribile giornata di Monaco. A regalare quel trofeo tanto agognato al tecnico ormai ad un passo dal ritiro ci pensò un nuovo gruppo di campioni, guidato da un Charlton ormai stempiato ma sempre fortissimo, da Denis law e da un giovane fenomeno con la zazzera e un dribbling celestiale. Il Belfast Boy George Best. Uno che non avrebbe di certo sfigurato al fianco dei Busby Babes.
venerdì 8 febbraio 2008
Una bella Italia domina il Portogallo.
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mercoledì 6 febbraio 2008
04/02/2008 Il disastro di Tagliavento

martedì 5 febbraio 2008
Manuale del perfetto interista
L’Inter è una forma di allenamento alla vita.
L’amore per una squadra è una cosa totalmente illogica.
Cambiano i giocatori, cambiano gli allenatori, cambiano i presidenti. Restano due colori, ricordi intensi, serate sospese davanti a un televisore, lunghi pomeriggi allo stadio, ritorni a casa silenziosi, gioie fulminanti.

E cento anni di Inter da festeggiare, in questa edizione speciale. Tornano Interismi, Altri interismi e Tripli interismi!, con una nuova introduzione, “La lunga marcia neroazzurra”, e un’appendice, “100 piccoli interismi”. Insomma, un secolo di eroismi, follie, curiosità; e scivoloni, miraggi, tentazioni di mollare tutto.
NOTE BIOGRAFICHE
Beppe Severgnini (Crema 1956) scrive per il “Corriere della Sera” e per la “Gazzetta dello Sport”, conduce dal 1998 il forum “Italians”, ha lavorato per “The Economist” (1993-2003) ed è autore di 14 bestseller, tutti pubblicati da Rizzoli. Il più recente è L’italiano. Lezioni semiserie (2007); il primo, Inglesi (1990). Dal 2007 il suo lavoro giornalistico è distribuito dal New York Times Syndicate.
lunedì 4 febbraio 2008
TENTATIVI DI FUGA
Mauro
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INTER - EMPOLI 1 - 0
34' IBRAHIMOVIC(rig.)
sabato 2 febbraio 2008
venerdì 1 febbraio 2008
COS'E' INTER CAMPUS E COME FUNZIONA

Inter Campus è un progetto che coinvolge circa 20.000 ragazzi tra gli 8 e i 13 anni, sparsi in tutta Italia e in alcuni Paesi del mondo. Il concetto di base del progetto Inter Campus e delle iniziative con cui si sviluppa, è far crescere i giovani calciatori nel proprio ambiente, vicino ai familiari e agli amici. Quindi Inter Campus Italia cresce attraverso una serie di iniziative che permettono alle Società affiliate un continuo scambio di informazioni ed esperienze con il Settore Giovanile dell'Inter, allo scopo di migliorare la professionalità dei propri allenatori. I ragazzi tesserati possono così allenarsi sul posto con gli stessi metodi utilizzati dall'Inter, vivendo all’interno della famiglia nerazzurra pur continuando a far parte della propria Società. In questo modo Inter Campus Italia non è solo un bacino di giovani calciatori al cui interno identificare il professionista di domani, ma anche uno strumento formativo di crescita per tutti quei ragazzi che calciatori professionisti non saranno mai, ma avranno vissuto la propria infanzia alcistica arricchita da un'esperienza valida sotto diversi aspetti. Ancora più significativa l'esperienza di Inter Campus Estero, dove la presenza dell'Inter ha lo scopo di utilizzare il calcio in generale, e i colori nerazzurri in particolare, come strumento per aiutare i bambini che soffrono o vivono in aree e situazioni disagiate o semplicemente lontane dal calcio. In tutti questi Paesi, Inter Campus risponde alla volontà di offrire ai giovani la possibilità di partecipare a iniziative che cercano sempre di coniugare l’attività sportiva con quella scolastica ed educativa. Più ancora che in Italia, le attività di Inter Campus Estero hanno lo scopo di coinvolgere i ragazzi in un percorso formativo completo, di sostenerli facendoli giocare in quanto bambini e non piccoli calciatori, in perfetta sinergia con il Settore Giovanile dell'Inter. Inter Campus è tutto questo e altro ancora, come gli stage estivi che permettono anche a chi non fa parte delle Società affiliate di vivere per una settimana nella famiglia interista, o come le feste di Natale e i tornei organizzati durante l'anno in Italia e nel mondo. Questo sito fornisce tutte le informazioni che possono illustrare la realtà Inter Campus e le sue diverse iniziative.